Roma, 30 aprile 2023 – Stagisti e tirocinanti, riders e lavoratori delle piattaforme, finte partite Iva e lavoratori a part-time obbligatorio o pagati con voucher e compensi occasionali: i gironi della precarietà (principalmente dei giovani e delle donne), ai quali fa riferimento il presidente Sergio Mattarella in vista del Primo Maggio, sono molteplici. E, in una sorta di scala socio-economica rovesciata, non è detto che al primo posto stiano i contrattisti a termine che, almeno, possono contare su una flessibilità contrattualmente tutelata. Mentre nelle altre formule si annidano irregolarità, se non vere illegalità.
E proprio ai lavoratori a termine è rivolta una delle principali novità in arrivo con il decreto lavoro del Primo Maggio: il governo punta a rendere meno drastico il vincolo che permette di stipulare rapporti a tempo determinato oltre i 12 mesi. Come? Con una nuova disciplina delle "causali", che sono le ragioni che giustificano proroghe e rinnovi fino a 24 mesi. Il provvedimento affida ai contratti collettivi l’individuazione dei casi nei quali si può andare oltre i 12 mesi. In assenza delle regole della contrattazione, si stabilisce che si può arrivare a 24 mesi "per esigenze di tecniche, organizzative o produttive, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2024". Fatta eccezione per la sostituzione di altri lavoratori, per cui proroga o rinnovo sono sempre possibili.
Al di là delle polemiche sull’intervento che stasera Giorgia Meloni illustrerà ai sindacati a Chigi, l’opposizione, la Cgil e la Uil puntano l’indice contro un ampliamento dell’area della precarietà, il nodo sul quale interviene la nuova disciplina che riguarda uno degli effetti boomerang del Decreto Dignità. Il Decreto Dignità come la legge Fornero sul lavoro – osserva Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, il Centro studi fondato da Marco Biagi – sono un esempio della convinzione secondo la quale per legge si possa creare occupazione, abrogando le forme contrattuali atipiche e provando a eliminare per decreto la precarietà. Gli esiti di questo modus operandi sono evidenti: il Decreto Dignità non solo non ha arrestato la crescita dei contratti a termine, ma ha penalizzato l’occupazione". Scettici anche i sindacati, con il leader Cgil, Maurizio Landini, che ieri ripeteva: "Trovo singolare che non ci sia stata la possibilità di discutere e poi siamo convocati domenica sera, per spiegarci quello che faranno il giorno dopo al Cdm. Non è il metodo rispettoso di confrontarsi".
Nel merito: di fatto il Decreto Dignità ha ridotto obbligatoriamente la durata dei contratti. Tant’è che dei 3,6 milioni di contratti a termine in corso, 2,9 milioni durano fino a 12 mesi. Il problema della precarietà, però, va oltre i contratti a termine. E investe sia le formule meno tutelanti, come stage e lavori occasionali, sia il "lavoro povero", che tocca ampie fasce di lavoratori anche con contratti a tempo indeterminato. "Oggi sono oltre 2 milioni le persone che lavorano a 6 euro all’ora lordi – ha detto più volte il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico – Ci sono riders che guadagnano 4 euro all’ora". Ma il dossier del lavoro "povero" e dei "working poor" riguarda anche coloro che svolgono il part-time involontario (2,7 milioni di lavoratori, con un boom tra i giovani e del 71,6% dal 2007, e le donne). Così, se prima della pandemia i lavoratori che guadagnavano meno di 9 euro l’ora lordi erano 2,9 milioni, oggi quelli che si collocano sulla soglia o poco sotto dei 9 euro sono 4 milioni. È ciò che il Censis definisce bluff occupazionale: aumentano i posti di lavoro, ma non i salari.