Venerdì 30 Agosto 2024

Crisi del Mar Rosso, cosa rischia il Made in Italy agroalimentare

In che modo la crisi del Mar Rosso mette in serio pericolo il Made in Italy agroalimentare: i dati del settore e le sfide del futuro

 Crisi del Mar Rosso - Crediti iStock Photo

Crisi del Mar Rosso - Crediti iStock Photo

La crisi nel Mar Rosso è sempre più una realtà che rischia di compromettere, non poco, le economie dei Paesi che contano su questo importante snodo commerciale. La situazione di difficoltà nasce dai contrasti in Medio Oriente tra Israele e Palestina che, a macchia d’olio, stanno interessando anche altri Paesi dell’area. Nel Canale di Suez, più nel dettaglio, sono gli attacchi degli Houthi, gruppo ribelli dello Yemen appoggiato dall’Iran, a causare una netta riduzione del traffico delle merci tra Asia ed Europa (circa il 35 per cento in meno nei primi mesi del 2024). L’attacco alle navi in transito sta portando molte aziende che fino a qualche tempo fa facevano passare le merci da Suez, a cambiare strada, dirottando le rotte verso il capo di Buona Speranza, in Sudafrica, con tutto ciò che ne consegue in termini di costi aggiuntivi e tempi. L’Italia non è esclusa dagli effetti avversi della crisi nel Canale di Suez e a risentirne è, soprattutto, il Made in Italy agroalimentare.

 Crisi del Mar Rosso - Crediti iStock Photo
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Crisi del Mar Rosso: gli scambi tra Italia e Asia

Stando ai dati del Report Ismea su Gli scambi agroalimentari italiani con l'Asia e la crisi del canale di Suez, l’Italia è il quinto Paese al mondo per esportazioni di prodotti agricoli verso l’Asia, dopo i Paesi Bassi, la Francia, la Spagna e la Germania. Inoltre, solo negli ultimi 10 anni l’Italia, l'export italiano di prodotti agricoli in l’Asia ha realizzato una crescita del 128 per cento, ovvero circa il 10 per cento delle esportazioni agroalimentari Made in Italy (oltre 6 miliardi di euro). Il primo cliente dell’Italia nell’area asiatica è il Giappone, con 1,75 miliardi di acquisti agroalimentari, cui fanno seguito la Cina, la Corea del Sud e l’Arabia Saudita.

I prodotti italiani esportati in Asia

In Asia vengono esportati principalmente i vini italiani, circa 446 milioni per i soli fermi in bottiglia (8,5 per cento dell'export totale di categoria), e spumanti per un totale di 119 milioni (5,6 per cento dell'export totale di categoria). Non è da meno l’esportazione di: - pasta (332 milioni di euro nel 2022, quota 11,9 per cento dell'export totale del comparto); - pomodoro trasformato (230 milioni, 9,4 per cento di quota); - formaggi (258 milioni, 7,2 per cento della quota del comparto); - mele (181 milioni, 21 per cento dell'export complessivo); - kiwi (60 milioni, 12 per cento del totale). Per quanto riguarda, invece, le importazioni dall’Asia, nel 2022 la spesa italiana è stata di 4,9 miliardi di euro, soprattutto in riferimento al caffè, ai molluschi e agli oli di palma. Nella bilancia commerciale il surplus italiano è schiacciante, ben 1,2 miliardi di euro.

Crisi del Mar Rosso, i rischi per l’agroalimentare Made in Italy

La crisi del Mar Rosso impone, come detto, la ricerca di nuovi percorsi per le merci che dall’Italia devono arrivare in Asia. I cambi di rotta costringono a circumnavigare l'Africa, una strada nettamente più lunga, con il costo dell’ordine che sta subendo un incremento del 40 per cento e i tempi di percorrenza che salgono a 7-10 giorni. È un problema non trascurabile per l’Italia, che, come dice il Report Ismea, può “incidere doppiamente sui mercati”. “Parte dei prodotti destinati ai Paesi asiatici, in particolare quelli più deperibili, potrebbero infatti confluire nei tradizionali sbocchi europei dove si configurano possibili rischi di surplus e di riduzione dei prezzi. Da evidenziare - si legge in conclusione nel report - che il commercio agroalimentare risulta esposto alla crisi non solo nelle esportazioni ma anche nelle importazioni di materie prime e semilavorati, la cui potenziale contrazione potrebbe generare un rallentamento della produzione dell'industria alimentare nazionale, e non solo, incidendo sulle catene globali del valore”.