Mercoledì 24 Aprile 2024

ChatGpt, Salvini contro il Garante: "Blocco sproporzionato". Il giurista: inutile opporsi

Il vicepremier attacca: Italia unico Paese occidentale a impedire l’accesso. Il professor Ugo Ruffolo: "Fa paura un software che sembra troppo umano. Queste macchine si sono evolute perché hanno imparato a imparare"

Il caso ChatGpt

Il caso ChatGpt

Bologna, 3 aprile 2023 – Alan Turing, il genio della matematica e padre dell’informatica, diceva che una macchina si può definire intelligente quando è capace di sembrare umana. A proposito del software di intelligenza artificiale ChatGpt, invece l’Occidente – spiega Ugo Ruffolo, giurista, avvocato e docente di Diritto civile all’Università di Bologna – "si preoccupa proprio perché sembra troppo umano".

Un paradosso?

"Stupisce la reazione dell’Occidente. Ci spaventiamo perché l’intelligenza artificiale ha imparato a imparare, parla e comunica come noi. È lo stesso Occidente che difende la libertà d’espressione, dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti al nostro articolo 21".

Finora il blocco di ChatGpt era stato attuato solo in Paesi governati da dittature. L’Italia è il primo democratico…

"Le dittature sono abituate a reprimere il libero pensiero. Ma la decisione su ChatGpt è ormai una tendenza anche altrove. Ne sono un esempio i sei mesi di moratoria sull’intelligenza artificiale chiesti da Elon Musk e altri come lui, che però così danno solo un vantaggio alla Cina".

Che cosa riguarda la contestazione del nostro Garante?

"È relativa a principi di base: l’assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori di 13 anni; manca l’informativa agli utenti e le informazioni fornite non sempre corrispondono al dato reale. Ma soprattutto, dice il Garante, manca una “idonea base giuridica in relazione alla raccolta dei dati personali e al loro trattamento per scopo di addestramento degli algoritmi“".

Quindi non c’entra la cessione dei dati personali a terzi.

"Esatto. Quando fornisco i miei dati, la macchina impara a rispondere meglio alle richieste. I miei, i suoi, i nostri dati sono la biblioteca personale della macchina intelligente, l’enciclopedia su cui studia e impara".

E perché questo ci fa paura?

"Sull’intelligenza artificiale ci sono sempre stati timori e preoccupazioni. A partire da chi dice “prima o poi si mangerà i nostri lavori“. I primi a saltare, si dice, dovrebbero essere i camionisti, i radiologi e... noi".

Noi...?

"Giornalisti e avvocati... Il punto è che con l’innovazione c’è sempre qualcuno che perde. Quando fu inventato il motore a scoppio, i vetturini si trasformarono in tassisti, i cavalleggeri diventarono carristi. Ma purtroppo i cavalli furono abbattuti".

Non una bella prospettiva…

"No, però vuol dire che ci saranno sempre nuovi mercati del lavoro e nuove opportunità".

Che cos’ha di diverso questa intelligenza artificiale?

"Stiamo assistendo all’evoluzione della specie: la macchina ha imparato a imparare. È diventata “intelligente“ perché è stato introdotto l’autoapprendimento. L’algoritmo del self-learning è la sua anima".

Una macchina che ha personalità (anche giuridica)?

"C’è chi propone di riconoscere personalità giuridica agli animali più “intelligenti“. Non si può escludere lo stesso per le macchine intelligenti. D’altra parte, nel 2017 l’Arabia Saudita ha concesso la cittadinanza, dunque personalità, al robot Sophia".

Allora torniamo al Garante. È giusto intervenire con nuovi provvedimenti contro queste innovazioni, o bastano le norme già esistenti?

"È impensabile opporsi, casomai bisogna governare questi fenomeni. Fino a ieri ci acculturavamo in maniera unidirezionale: leggevamo un libro, un giornale, guardavamo la televisione. Ora invece le informazioni, anche commerciali e persino elettorali, arrivano immediatamente perché veniamo profilati. E a farlo sono gli umani, non necessariamente le macchine".

Le malefatte degli umani non ci scandalizzano…

"Facendo un paragone con la storia antica, non c’è stata una rivolta degli schiavi: hanno solo iniziato a comunicare. È come se ci fosse un’occulta rivendicazione del nostro diritto al monopolio della parola. E anche di dire fesserie".

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