Martedì 23 Aprile 2024

Sterminò la famiglia Il papà chiede perdono Ma il figlio superstite: prima voglio un perché

Ex architetto alla sbarra per gli omicidi di moglie e secondogenita. Niccolò e la maglia con le loro foto: non odio, per la clemenza però è presto.

di Andrea Gianni

BUSTO ARSIZIO (Varese)

La disperata richiesta di "perdono" è arrivata al termine di un lungo interrogatorio, durante il quale Alessandro Maja si è soffermato sulle difficoltà nel rapporto con la moglie e sui problemi lavorativi che lo avevano reso "triste, preoccupato e ansioso". Lo sguardo che a volte si è alzato per incrociare quello del figlio Nicolò nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arsizio, frasi con voce sommessa interrotte più volte da crisi di pianto. "Ho commesso un reato imperdonabile, non so come scusarmi", ha detto l’interior designer che a maggio dell’anno scorso ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia, riducendo in fin di vita il primogenito Nicolò nella villetta di famiglia a Samarate, nel Varesotto. Si è rivolto "alla mia Giulia" e al figlio 24enne, sopravvissuto alla furia omicida: "Purtroppo non si torna indietro, non penso al suicidio". Parole alle quali ha replicato fuori dall’aula Nicolò, sulla sedia a rotelle, che si è presentato all’udienza del processo a carico del padre indossando una t-shirt con la foto delle vittime: "Non riesco a provare odio però il perdono in questo momento è difficile. Sono emotivamente stanco. Non ho ancora una risposta esaustiva sul perché" della strage. Una domanda che il giovane continua a rivolgere al padre.

Alessandro Maja ha ammesso le sue responsabilità fra tanti "non ricordo" sulla notte del massacro, e ha parlato di un rapporto con la moglie che si era incrinato. "Avevo una bellissima famiglia – ha detto –, ero una persona normale e umile, con pregi e difetti. Mi sentivo non considerato da mia moglie, se tornavo a casa dopo aver tagliato i capelli o con un paio di occhiali nuovi non si accorgeva. Il nostro solaio era diventato un magazzino – ha riferito –, continuava a comprare cose che non usava e quando la rimproveravo per le spese eccessive diceva di avere un disturbo. Stava sempre col telefono in mano, litigavamo e a me dispiaceva perché le volevo bene". Poi il lavoro, che "non andava bene" perché "c’era stato un calo dovuto al Covid e ad altre situazioni". Ha parlato di un "errore professionale", un affare andato male che lo ha lasciato "sempre più preoccupato e ansioso", con l’ossessione del fallimento.