Giovedì 18 Aprile 2024

Orban IV è ancora re d’Ungheria Ma in Europa non ha più alleati

Sconfitta l’opposizione liberale, che denuncia irregolarità e pressioni. Verso il sì anche alla legge anti-gay

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BUDAPEST (Ungheria)

La grande coalizione anti-Orbán ci ha sperato fino alla fine, combattendo per l’ultimo voto anche a colpi di denunce su scorrettezze elettorali. Ma, a tarda sera, le indicazioni informali dei comitati dell’attuale premier, Viktor Orbán, fornivano numeri, in linea con gli ultimi sondaggi, che gli assegnavano una nuova vittoria, la quarta consecutiva: 49 per cento contro il 41 dell’unico competitor, il cattolico moderato Peter Marki-Zay, capo di un’ampia ed eterogenea opposizione, che va dai conservatori ai progressisti.

Il primo ministro in carica, con il suo partito, Fidesz, sarebbe a 121 seggi su 199, mentre l’alleanza di opposizione otterrebbe 77 seggi: secondo gli exit poll dell’Istituto ungherese Median. Ma al 23 per cento dello spoglio le cifre sono maggiormente a favore del partito al potere: 134 seggi contro 57. Una vittoria netta ma che non arriva al controllo assoluto del Parlamento: "Mi aspetto una grande vittoria ma non una maggioranza di due terzi", ha puntualizzato Gergely Gulyas, capo dello staff del premier. Unico dato certo per entrambi i fronti, la partecipazione al voto, intorno al 67 per cento.

Se le prime cifre saranno confermate, per l’opposizione sarà comunque una battuta d’arresto significativa. "L’opposizione vincerà, anche se di misura", spiegava alla vigilia la vice sindaca di Budapest, Kata Tuttő, tra gli esponenti dei movimenti anti-Orban.

Eppure, i sondaggi dei giorni scorsi, se restituivano l’immagine di un Paese spaccato, davano anche un vantaggio a Orban.

Ma se i numeri saranno quelli di metà spoglio, saremo di fronte a una clamorosa sconfitta per una fetta rilevante della società civile ungherese. Insegnanti, studenti, associazioni Lgbt. Tanto più se dovesse passare, come sembra, anche il referendum sulla legge che vieta la promozione dell’omosessualità: legge definita "una vergogna" dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che è valsa all’Ungheria l’avvio di una procedura d’infrazione, ultimo capitolo di un lungo braccio di ferro tra Budapest e Bruxelles sullo Stato di diritto.

Ed è, del resto, Putin il fantasma più ingombrante di queste elezioni. Il dissenso a Budapest ha preso la forma di una Z sui manifesti elettorali di Fidesz che campeggiavano in tutta la città, per denunciare il collelateralismo con Mosca. "La neutralità è solo una maschera – hanno attaccato i capi dell’opposizione. Non sappiamo che cosa accadrà, ma temiamo che ci spingerà ancora di più tra le braccia di Putin". Una posizione isolata in Europa che, con alcune sfumature, accomuna l’Ungheria di Orbán solo alla Serbia di Aleksandar Vučić, avamposto di Mosca nei Balcani.

Eppure, l’invettiva di Zelensky anti-Orban, che si aggiunge a quella sferrata durante il vertice europeo, potrebbe essersi rivelata controproducente. Tra gli elettori ha serpeggiato la paura, instillata dalla propaganda filo governativa, che l’opposizione volesse trascinare l’Ungheria in guerra, autorizzando il passaggio di armi dirette all’Ucraina. Non solo. I due avversari si sono sfidati anche sul gas russo. Peter Marki-Zay, non a caso, ma inutilmente, ha avvisato: "Smentisco un’altra grande menzogna della propaganda governativa: noi, nel caso di un cambio di governo, non chiuderemo il rubinetto del gas russo che continuerà ad arrivare finché non troveremo un’alternativa".