Giovedì 25 Aprile 2024

Mani pulite e un popolo ormai disilluso

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Mario

Consani

I più disillusi, in realtà, sembrano gli stessi magistriati che su Tangentopoli indagarono 30 anni fa. Gherardo Colombo lo ripete da sempre che senza cultura della legalità non c’è giustizia penale che tenga. Piercamillo Davigo ha titolato un suo libro “Mani pulite l’occasione mancata“, il procuratore Saverio Borrelli anni fa, in pubblico, chiese persino scusa, tra ironia e amarezza, per aver contribuito a far cadere i partiti di allora, visto quello che ne era seguito.

Nessuna sorpresa, perciò, se in un sondaggio Demos-Libera sei intervistati su dieci (58%) ritengono che, al pari del passato, corruzione e politica siano tra loro connesse. Tanto più che il 78% degli italiani ritiene che la corruzione in politica sia lo specchio della società e per questo difficile da debellare. L’intreccio tra politica e corruzione, insomma, è fortemente radicato nelle prospettive dei cittadini. Ma questo vuol dire che Mani pulite non è servìta a nulla e tutto funziona come prima? Tesi un po’ difficile da sostenere. Non c’è dubbio, come emerge non solo dal sondaggio ma dalle inchieste dei magistrati che si occupano di reati contro la pubblica amministrazione oggi, che il malaffare resti diffuso magari in forme un po’ più raffinate. Ma non è paragonabile a quel sistema capillare che fino a 30 anni fa prevedeva per ogni appalto o gara pubblica precise quote di spartizione tra i partiti. Potrebbe non avere torto Antonio Di Pietro, quando sostiene che non è vero che oggi c’è più corruzione: ci sono più inchieste che la portano alla luce.