Sabato 11 Maggio 2024

Le altre vittime del Barbablù seriale Tre ragazze pronte a denunciarlo

Le foto nel telefonino di Di Fazio, in tutto sono 54. Una galleria di immagini "classificate in modo maniacale"

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Per ricostruire la galleria di vittime del "moderno Barbablù", cioè il manager 50enne Antonio Di Fazio, in carcere per aver violentato, nel suo appartamento di lusso a Milano, una studentessa di 21 anni, dopo averla avvelenata con una dose massiccia di “droga dello stupro“, gli investigatori sono partiti dalle 54 foto di donne in stato di incoscienza, seminude e in esplicite posizioni sessuali contenute nel cellulare del manager. Una galleria fotografica di parti anatomiche associate a visi senza espressione, "classificate in modo maniacale", spiegano gli investigatori.

Nelle ultime ore tre ragazze, ma sono almeno cinque quelle ritratte negli scatti, si sono presentate spontaneamente ai carabinieri del nucleo investigativo che hanno condotto le indagini, coordinati dalla pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunto Letizia Mannella, per raccontare di essere state vittime di Di Fazio, pronte a verbalizzare la loro verità e chiedendo agli investigatori un aiuto per ricucire i flash di quanto, di terribile, ricordano. Le ragazze saranno sentire già stamattina, ma da una prima loro sommaria testimonianza, risulta una serialità anche nei comportamenti d’approccio del manager dalla doppia vita. L’offerta di un lavoro, le relazioni internazionali vantate, le riunioni importanti, ruoli professionali prestigiosissimi, oltre naturalmente all’immancabile asso nella manica usato di frequente dalle personalità mitomani-narcisiste per stupire: "Sono un pezzo grosso dei servizi segreti". E poi l’offerta di bere qualcosa "solo un caffè e due chiacchiere" diceva, così da non allarmare troppo le giovani vittime e la “trappola del caffè avvelenato“ così da disporre di loro come voleva e poi violentarle e fotografarle per il suo “archivio degli orrori“. Di Fazio, Antonello, quando parlava di sé in terza persona, o Antonio, quando rientrava nelle sua identità di manager che viveva con la mamma, "sono un mite" scriveva sui social, sarà sentito oggi pomeriggio. Potrà avvalersi della facoltà di non rispondere o ripetere in aula quanto già detto, senza la presenza di un avvocato, dopo la perquisizione nel suo appartamento di 210 metri quadrati davanti al Parco Sempione, mentre i carabinieri gli sequestravano il benzodiazepine usato per avvelenare la 21enne: "La sostanza è per me, me l’ha prescritta mia sorella medico". Oppure ripetere quanto detto due settimane dopo, quando i militari gli prendevano i cellulari, i computer e lui paventava "gravi danni economici causati dal sequestro, esercitando pressioni psicologiche anche sulle forze dell’ordine", scrive il gip. Oppure quando cercando di farla franca e facendo leva sul black out della ragazza, parlava della fantomatica estorsione di 500mila euro, riferendosi alla studentessa: "Quella è una p... a me mi vuole prendere in giro... la sua famiglia mi ha chiesto soldi, questa t... mi vuole combinare un casino della Madonna, dice che l’ho stuprata, ma i segni dello stupro dove sono? Dove sono? Non l’ho neanche baciata". E poi raggiunge l’apice: "Io l’ho lasciata a casa dopo le 10 e tu che fai... ti presenti in ospedale l’indomani?". Come se ci fosse un tempo legittimo in cui denunciare uno stupro, un limite che svanisce dopo 24ore. In realtà il fidanzato della vittima, che lui ha tentato di intimidire con telefonate di minaccia, un uomo con accento meridionale gli diceva "ti squarcio in due", aveva denunciato subito, prima che la sua ragazza riprendesse piena consapevolezza. Di Fazio avrebbe anche indotto il figlio "appena dodicenne, a rendere dichiarazioni compiacenti", così come la madre e la sorella, pur di "stravolgere" quanto era accaduto e garantirsi l’impunità, convinto, dicono gli investigatori, che nessuno avrebbe dato credito a una ragazzina che non ricordava quasi nulla e non aveva segni evidenti di rapporti sessuali consumati.

Anna Giorgi