Venerdì 30 Agosto 2024
GABRIELE
Cronaca

Impossibile non fare accordi con gli egiziani

Gabriele Canè critica l'accordo Ue-Egitto, paragonandolo alla realpolitik di Kissinger. Sottolinea le contraddizioni etiche e politiche nell'approccio alla diplomazia internazionale.

Canè

Lasciamo perdere Machiavelli: l’idea che per raggiungere il fine prefissato si possa usare qualunque mezzo, e dunque chiudere occhi e orecchie, va oltre la nostra attuale tolleranza etica. Almeno formalmente. Nella pratica, però, vale qualcosa che gli somiglia molto: la realpolitik predicata e praticata al massimo livello dall’appena scomparso Henry Kissinger. Dunque, nessuna meraviglia che il memorandum Ue-Egitto firmato ieri, il "parternariato strategico e globale", condito con oltre 7 miliardi di aiuti, susciti proteste e perplessità in Europa e in Italia, soprattutto a sinistra. Il caso Regeni aggiunge per noi un motivo di ripulsa in più all’accordo con un Paese che pratica una "democrazia in divisa": di fatto, dal 1956, da Nasser in poi, un regime militare salvo la parentesi islamista della "primavera araba". Poi vengono le ragioni dell’opportunità, della convenienza. Della politica. Quelle per cui, ad esempio, abbiamo rapporti di ogni tipo con la Cina illiberale e imperialista, e con Xi, al cui confronto Al Sisi risulta una sorta di capo scout. Quelle che inducono a guardare in modo oggettivamente positivo, realistico, a un’intesa organica con il più grande paese del Nord Africa, pressato ai confini dal flusso migratorio di un intero continente. Non solo: il luogo dove si lavora per porre fine alla mattanza Israele-Hamas, e a cui Europa e Italia guardano con speranza. Non a caso Meloni e von der Leyen vanno ancora una volta a braccetto. Questione di feeling personale, certo, di interesse contingente, pure, visto che in prospettiva FdI si propone però di ribaltare l’attuale "maggioranza Ursula".

Il cambiamento per cui Salvini chiama a raccolta la piazza. Un’apparente contraddizione che trova la sua quadra nella real politik praticata dalla premier per portare a casa il risultato ritenuto migliore con gli interlocutori del momento. Come Kissinger e Machiavelli insegnano.