Giovedì 25 Aprile 2024

Un festival del lavoro nelle aree interne

Festival del lavoro nelle aree interne

Festival del lavoro nelle aree interne

Il Festival del lavoro nelle aree interne si terrà a Soveria Mannelli in Calabria dal 25 al 27 maggio 2023. Organizzato da Rubbettino editore, ResPro (Rete di storici per i paesaggi delle produzioni) e Fondazione Appennino è sostenuto da Assolavoro, Banca Etica e Fondazione Carical. Vedrà la partecipazione di studiosi, associazioni, fondazioni e istituzioni che a vario titolo si occupano dello sviluppo delle aree interne dl nostro paese.

L’intervento di Florindo Rubbettino

Un festival del lavoro nelle aree interne è una sfida che non può passare inosservata. Soprattutto se parte dalla Calabria, una regione tra le più martoriate del nostro Paese e dal Reventino, un piccolo territorio appenninico che ha saputo costruire una sua visione fondata sulla cultura del lavoro con una particolare vocazione manifatturiera che si contamina con la cultura, la conoscenza, l’immateriale. Un vero e proprio presidio di resistenza manifatturiera con delle caratteristiche precipue. L’apertura e la permeabilità delle fabbriche al territorio e alla comunità. La costruzione di ponti con il mondo della scuola e con altri territori superando le logiche della contrapposizione. L’orientamento al mercato e l’enfasi sulla creatività, sulla cultura, sulla sostenibilità.

Un piccolo prototipo di territorio che sperimenta forme di ruralità evoluta Un territorio-laboratorio che può indicare una via per lo sviluppo delle aree interne dell’intero Paese e che, per citare lo storico dell’economia Augusto Ciuffetti, vuole essere soggetto e non oggetto. Un territorio che ha evitato di farsi oggetto sfuggendo a quelle che sono le ricorrenti distorsioni di chi pensa allo sviluppo di questi territori partendo dall’esterno, anziché dall’interno. Senza connettersi con l’energia degli individui e delle comunità che li popolano.

La distorsione, in primis, delle politiche pubbliche calate dall’alto e spesso predatorie. Quelle che fanno diventare paradossalmente quei territori che Manlio Rossi Doria definiva osso delle polpe che grazie agli ingenti flussi di denaro si fanno oggetti da spolpare da parte dei rentier del sottosviluppo. Si pensi alle grandi opere pubbliche, pensate spesso in buona fede, come centrali, dighe, grandi vie di comunicazione, impianti di risalita, ma anche alle imponenti strutture turistiche). Le Alpi, che hanno sperimentato questi modelli di sviluppo, hanno molto da insegnare al nostro Appennino. La distorsione – ancora – dovuta al mito dell’intoccabilità romantica che mira alla pura conservazione e al feticismo dei luoghi, dei paesaggi, delle comunità. Un feticismo che alla lunga porta al depauperamento delle comunità e al crollo demografico. E che condanna all’eterna sospensione tra il non essere più e il non poter essere altro.

La colonna sonora che accompagnerà il Festival è Humankind dei Coldplay che non è solo un inno alla fallibilità e al contempo alla unicità del genere umano, ma, canta in un passaggio, il limite labile tra il morire e il volare. “Before I was dying I fell inside, now I’m flying. La distorsione, infine, del mito esclusivamente turistico che riduce i territori interni a luoghi di consumo a beneficio delle aree ricche e urbane. E’ la retorica dei borghi. Oggi, finalmente, stiamo cominciando a capire che per questi territori il solo turismo non basta.

E’ un fattore troppo esogeno e che rischia di far ricadere questi luoghi nei recinti delle “riserve” nelle quali territori, comunità, risorse e persone tornano a essere oggetti e non soggetti Cosa è invece questo frammento di Appennino chiamato Reventino? E’ un territorio che ha raccolto la sfida del lavoro combinato su identità, saperi e innovazione. Sulla preservazione e sulla trasformazione. E’ un territorio popolato da persone che hanno deciso con ostinazione di restare, ma non solo per contemplare, ma anche per trasformare. Che come nella parabola dei talenti provano a trasformare ciò che si è ricevuto, arricchendolo. Questa propensione al fare evita il feticismo dell’intoccabilità e chiama all’assunzione di responsabilità.

A partecipare, a essere coautori, col cuore e con la mente. Su questo territorio le imprese sono imprese abitanti. Vivono, partecipano, collaborano alla costruzione di comunità vive. Sono, appunto, presidi di comunità. E questo lo dimostra anche la “faticosa” ma eroica ed efficace resistenza demografica. Qui si sperimenta una forma di manifattura multifunzionale che partecipa alla grande trasformazione e al grande rimescolamento contemporaneo che riguarda anche i settori del turismo, della logistica, dell’istruzione, dell’innovazione ambientale e sociale. Le nostre fabbriche non sono solo siti produttivi, ma – lo dicevo prima – luoghi ibridi e permeabili. Aperte ad ospitare e a sperimentare (con le scuole, con le università, con i turisti esperienziali che visitano i musei di impresa, luoghi di cultura, arte, creatività e immateriale). I temi che si tratteranno nei tre giorni del festival toccano diversi ambiti che vanno dalla geografia, alla demografia, alla storia, alle politiche di coesione, ai divari infrastrutturali e immateriali. Con una serie di testimonianze di attori protagonisti dello studio e della trasformazione delle aree interne.

E con la vasta partecipazione di studiose e studiosi che attraverso lo sguardo della storia economica ma anche di altre discipline – come è nella natura di ResPro che ha un carattere interdisciplinare nell’ambito della storia dei paesaggi rurali e urbani e della storia dei sistemi produttivi (agropastorali, dell’agricoltura e dell’industria) –rintracciano e riannodano i fili di multiformi e sorprendenti esperienze e mestieri, sistemi di conoscenze tacite o esplicite fatte di ricordi, memorie, segni di cui sono ricche le nostre aree interne e che possono servire anche da ispirazione per il futuro. Raccoglieremo molti stimoli e proveremo nella giornata finale a rielaborare delle proposte che terranno conto della ricchezza di contenuti e tracceranno delle traiettorie originali partendo anche dal rapporto tra aree interne e Mediterraneo. Con una ambizione che credo debba essere quella della nostra generazione. Non più cambiare il mondo – “vaste programme avrebbe detto con una punta di ironia Charles De Gaulle – ma quella, molto più ambiziosa, di cambiare i luoghi.

*ad Rubbettino