De Franchis
A leggere alcune denominazioni, viene spontaneo domandarsi ‘cosa si studia’ in quel corso di laurea o, ancor più banalmente, ‘cosa si diventa’, quale professione si potrà ricoprire, una volta usciti con la pergamena di laurea in mano e tanti sogni nel cassetto.
I NOMI DEI CORSI UNIVERSITARI
Si va da un corso di laurea triennale in ‘Intensificazione sostenibile delle produzioni ortofrutticole di qualità’, attivato all’università di Teramo, a uno in ‘Management per la valorizzazione sostenibile delle aziende e delle risorse ittiche’, istituito all’università Politecnica delle Marche. C’è poi un biennio magistrale in ‘Lingue per la didattica innovativa e l’interculturalità’, offerto dall’università degli Studi internazionali di Roma; mentre l’università della Calabria annovera, fra i corsi di laurea magistrale, quello in ‘Intelligence per la legalità e la tutela dei beni culturali e archeologici’. Alcuni termini, in effetti, sono ricorrenti: ‘sostenibilità’ - una delle parole d’ordine della nostra epoca – è quasi ovunque, così come ‘digital’, ‘valorizzazione’, ‘territori’, ‘benessere’.
QUANTI SONO I CORSI
IN ITALIA
Ci sono 2.260 corsi di laurea triennale, 350 a ciclo unico (i vecchi corsi quadriennali o quinquennali, come Giurisprudenza o Scienze della formazione primaria), 2.310 corsi di laurea magistrale, 2.341 fra master di primo e secondo livello e 854 corsi di dottorato di ricerca: numeri da capogiro, peraltro in un Paese in cui il bacino dei giovani in età da percorso universitario è destinato a restringersi progressivamente.
CHE COS’È IL MISMATCH
Il nostro Paese è ai primi posti in Europa per disallineamento tra le discipline di studio scelte dai giovani e le esigenze del mercato del lavoro. Un problema che tormenta soprattutto le famiglie. Famiglie divise tra il desiderio di assicurare un futuro lavorativo soddisfacente ai propri figli e la necessità di fare i conti con spese universitarie.
I PASSI IN AVANTI
Qualcosa sta cambiando, dicono da AlmaLaurea: il rapporto 2024 sulla condizione occupazionale dei laureati, presentato a giugno, evidenzia "l’aumento dei livelli di efficacia della laurea, che combina l’uso, nel lavoro, delle competenze acquisite all’università e la richiesta, formale e sostanziale, del titolo per l’esercizio della propria attività". Consce della gravità del ‘mismatch’ e tacciate più volte, negli anni scorsi, di essersi trasformate in ‘fabbriche di laureati inutili’ per il mercato del lavoro e le imprese, le università si sono impegnate a offrire percorsi di formazione concretamente spendibili e più aderenti alle richieste formulate dai settori produttivi.
I DATI EUROSTAT
Nell’Eurozona il nostro Paese ha la maglia nera per il numero di giovani occupati muniti di un titolo di studio conseguito negli ultimi 1-3 anni (diploma di istruzione superiore, laurea o master universitario). La media dell’area Euro è dell’83,5%: l’Italia è in coda alla classifica con solo il 67,5% di neodiplomati e neolaureati occupati (età 20-34 anni). Se Malta è in testa, con un dato pari a 95,8% (seguita da Paesi Bassi e Germania), meglio di noi fanno persino Grecia e Romania: in Grecia la percentuale è pari al 72,3%, in Romania sfiora il 75%. Il ritardo si spiega in parte con lo scarso appeal che le discipline cosiddette ‘Stem’ – scientifiche e tecnologiche, ritenute cruciali per lo sviluppo di competenze adatte al mercato del lavoro attuale – esercitano sui giovani italiani.
LAUREATI E FUORI CORSO
Il confronto con l’Europa è impietoso anche per quel che riguarda l’età media di conseguimento della laurea: nel nostro Paese, una laurea magistrale o a ciclo unico si raggiunge, in media, a 27 anni, quando la durata legale di questi percorsi dovrebbe essere di 5 anni (6 solo nel caso di Medicina). Il traguardo della laurea triennale si taglia, in media, a 24,5 anni, contro i 22 della tabella di marcia ideale. Un dettaglio che fa la differenza anche in termini occupazionali: secondo il rapporto AlmaLaurea, a parità di condizioni, all’avanzare dell’età in cui si consegue il titolo diminuisce la probabilità di essere occupato (-4,2% per ogni anno in più).