Mercoledì 24 Aprile 2024

Cannabis, coltivazione domestica. Cassazione: non è reato

Per la prima volta è stato deliberato che "non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica". Esclusivamente destinate a uso personale del coltivatore

Foglia di marijuana (Ansa)

Foglia di marijuana (Ansa)

Roma, 26 dicembre 2019 - Coltivare la cannabis in casa in minime quantità, sentenzia la Cassazione, non è reato. A pronunciarsi in merito le sezioni unite penali, massimo organo della Corte, il 19 dicembre del 2019.

Per la prima volta è stato deliberato che "non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica". Attività di coltivazione che - si sottolinea - "per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore". In sostanza chi coltiva per sè non compie piu' reato. Viene propugnata così la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi autonomamente qualche piantina. 

Ormai diffusi, anche online, sono i kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa: ma si incorreva in rischi da un punto di vista legale, non essendoci mai stata un'apertura in questa direzione. La Corte costituzionale in passato è intervenuta più volte sul tema, sposando una linea rigorosa, e così la giurisprudenza ha assunto - dopo alcune isolate sentenze controverse sul tema - una posizione netta. Stabilendo un semplice principio: la coltivazione di cannabis è sempre reato, a prescindere dal numero di piantine e dal principio attivo ritrovato dalle autorità e anche se la coltivazione avviene per uso personale. Si affermava che "la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti" potesse "valutarsi come 'pericolosa', ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga".

La Cassazione, adattandosi finora alla linea della Consulta, ha sostenuto che la coltivazione di marijuana, anche se per piccolissime dosi (una o due piantine) è sempre reato, a prescindere dallo stato in cui si trovi la pianta al momento dell'arrivo del controllo. Ora - si attendono le motivazioni della pronuncia del 19 dicembre - c'è stato un ribaltamento del principio fin qui stabilito. Sono le sezioni unite penali ad aver posto un punto fermo, dettando un'unica linea e uniformando il trattamento per i coltivatori di "erba" in casa. "Il reato di coltivazione di stupefacente - si legge nella massima provvisoria emessa dalla Corte dopo l'udienza del 19 dicembre - è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente"; "Devono però ritenersi escluse - ed è qui il punto di svolta -, in quanto non riconducibile all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore".