Roma, 18 luglio 2023 – “Non dobbiamo cadere nell’errore di considerarla una pista ma quest’ultima ‘fiammata’ va inquadrata in quello che è stato davvero il caso Orlandi, una raffinatissima operazione di intelligence tesa ad attuare un ricatto in quell’epoca orrenda che erano i primi anni ’80 dove all’ombra del Vaticano avvenivano cose gravissime come l’uccisione del banchiere Roberto Calvi o il tentato omicidio del suo vice Roberto Rosone da parte del boss della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati". Nessuna ’pista familiare’ nel caso di Emanuela Orlandi dopo le ultime rivelazioni sullo zio della ragazza, Mario Meneguzzi, che avrebbe tentato approcci e avances nei confronti della sorella maggiore di Emanuela, Natalina, secondo il giornalista investigativo Fabrizio Peronaci, autore di diversi saggi sul giallo più misterioso d’Italia. Ma un elemento nuovo, "una complicazione che ci dice che lo zio fosse ricattabile e ci dà conferma di quanto fosse premeditata e sottile l’operazione che ha coinvolto Emanuela".
Peronaci, facciamo un po’ d’ordine nella ridda di ipotesi e supposizioni sul destino della ’Vatican girl’. Dove guardare?
"Al primo tempo della scomparsa della ragazza. La soluzione del caso Orlandi è in una molteplicità di moventi, un ricatto su più livelli, si può capire solo partendo fin dall’inizio dell’83, quando ci furono evidenze che ci portavano a ritenere che la pista internazionale e quella economica legata allo Ior si intrecciassero".
Quali i riscontri?
"Intanto se fosse soltanto una pista legata ad aspetti sessuali non si spiegherebbe perché anche altre ragazze vaticane, figlie di personaggi più in alto del padre di Emanuela, fossero entrate nel mirino con pedinamenti. Poi non si capirebbe perchè c’era un allarme già dei servizi segreti francesi nell’81 su possibili rapimenti. Ci fu un’azione premeditata che si spiega nel legame con l’attentato a papa Wojtyla di quell’anno. Alì Agcà finisce in galera subito, condannato a luglio all’ergastolo ma al tempo stesso comincia a ricevere in carcere esponenti dei servizi segreti che gli promettono che verrà liberato".
Che altro?
"Un altro riscontro riguarda l’atto di emigrazione della ragazza che prima era cittadina italiana. È del marzo 1983, solo tre mesi prima della scomparsa, nessuno ci ha raccontato questo cambio di cittadinanza evidentemente funzionale al fatto che da cittadina vaticana il Papa se ne sentisse coinvolto, e infatti il Papa rivolge una serie di appelli per la liberazione. Ancora: la ragazza si allontana il 22 giugno e c’è la famosa telefonata a casa in cui dice che le era stato offerto un lavoro strapagato per la Avon. È chiaro che riferiva parole in codice. Avon è l’anagramma di una fondazione pontificia, la Nova, che si occupava delle finanze vaticane e dei soldi girati a Solidarnosc. Si voleva dire, basta con tutti questi soldi in Polonia perché non sono tutti puliti".
E ad operare secondo la sua tesi sarebbe stato quello che lei ha chiamato il Ganglio, un agglomerato di soggetti dei servizi segreti deviati, massoni, pezzi di ambienti ecclesiastici e ambienti criminali?
"Proprio così. Credo che un ulteriore riscontro arrivi proprio dall’elemento ‘nuovo’ che riguarda lo zio Meneguzzi. Fu lui ad assumere il ruolo di portavoce della famiglia e a far sostituire l’avvocato che avevano preso gli Orlandi con un altro, l’avvocato Egidio, pagato dal Sisde. Perché un avvocato del Sisde quando ad esempio la famiglia di Mirella Gregori aveva un suo avvocato pagato faticosamente di tasca propria?".
Quale può essere stato il destino di Emanuela?
"È sempre mancata una prova eclatante che fosse in vita, ad esempio la classica foto con giornale. Ma possono esserci altre interpretazioni come quella che fin da subito sia stata resa irreperibile, allontanata in quanto persona da mettere sotto protezione perché l’operazione era una operazione in cui la presenza dei servizi era importante. Non mi sento di escludere una regia talmente abile da confezionare un suo trasferimento all’estero come si fa ad esempio con un pentito".
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