Bocciata la tassa solidale di Draghi Sul fisco è scontro in maggioranza

Il premier voleva bloccare per un anno il taglio dell’Irpef sopra i 75mila euro per ridurre le bollette alle famiglie

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di Antonella Coppari

Stavolta non ce l’ha fatta nemmeno SuperMario. Di fronte alla formula "contributo di solidarietà", l’ala destra della maggioranza, spalleggiata da Italia Viva, reagisce come un toro di fronte a un drappo rosso. "È una patrimoniale mascherata", insorge la forzista Mariastella Gelmini. Stessi toni Giorgetti e Bagnai (Lega). Leggermente più pacati i renziani: "Qualsiasi ipotesi che preveda un prelievo aggiuntivo, non andrebbe nella direzione che Draghi ha più volte ribadito: non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli".

Ad onor del vero, di prelievi aggiuntivi non se parlava proprio. L’idea, partorita dal ministro Franco giovedì, dopo l’incontro con i sindacati, si limitava a congelare per un anno i benefici della riforma fiscale per lo scaglione più alto, quello superiore ai 75mila euro – ovvero per il 2% della popolazione – in modo da avere circa 300 milioni in più per sterilizzare l’aumento delle bollette. Il punto insomma era chiaramente tutto politico e simbolico, ma su quel fronte non c’è stata mediazione possibile, e si è capito già all’ora di colazione quando il titolare dell’Economia e il premier hanno squadernato la proposta nell’incontro con i capi delegazione in cabina di regia. Il no di mezza maggioranza si è ripetuto, amplificato in consiglio dei ministri poche ore dopo, con l’azzurro Brunetta a spiegare che "non c’è una mappa dell’impatto della pandemia sui redditi, una politica redistributiva a fari spenti non ha senso: lavoriamo piuttosto su deduzioni e detrazioni".

Tra le due squadre della maggioranza, si sfiora lo scontro aperto: da una parte Pd, Leu e M5s (il ministro Patuanelli avalla la proposta del contributo, ma molti grillini sono contrari); dall’altra Lega, Forza Italia e Iv, contentissima di fare ancora una volta da ago della bilancia e di poterlo farlo sapere, causando l’irritazione dei democratici. Draghi ha cercato di mediare con l’obiettivo di arrivare a una soluzione condivisa da tutti. "Nella ripartenza – afferma ricordando Guido Carli a un convegno – bisogna collaborare tutti per l’opportunità straordinaria" data anche dal Pnrr "per ridurre le diseguaglianze", evitando conflitti sociali. Poi, ha capito che lo scontro sarebbe stato inevitabile. Ha calcolato i rischi alla vigilia di un passaggio delicato come il varo della legge di Bilancio per una maggioranza in cui la tensione è già alta. E ha scelto di cedere (qualcuno nel governo sostiene che, in realtà, avesse messo in conto lo stop), e di fare cercare al Mef, sospendendo il Cdm, altre voci da cui estrarre quei 300 milioni che, in effetti, sono venuti fuori.

La riunione si conclude, dunque, con una vittoria netta della destra ma senza morti e feriti. A bene vedere, i rischi più alti per il premier non sono addensati sul fronte politico ma su quello sociale. Di qui il filo diretto che tiene per tutto il giorno con Landini (Cgil), Bombardieri (Uil) e Sbarra (Cisl), nella consapevolezza che il Pd non potrebbe far finta di niente di fronte a uno scontro frontale tra Palazzo Chigi e sindacati. A loro spiega che non si può rimettere in discussione l’accordo raggiunto con i partiti per destinare 8 miliardi al taglio strutturale delle tasse (7 di Irpef e 1 di Irap), però aggiunge che si possono sfruttare i 2 miliardi ancora disponibili per agire sui redditi più bassi.

E così in manovra 1,5 miliardi saranno destinati a una decontribuzione dello 0,7% per i redditi fino a 35mila euro, altri 800milioni (500 già disponibili, 300 comparsi all’ultimo) si aggiungeranno ai 2 miliardi già stanziati per fronteggiare l’impennata dei prezzi di luce e gas. Nel complesso due miliardi e 800milioni. Basterà alle Confederazioni? La Cisl è più morbida, ma i segnali per il momento non autorizzano molto ottimismo: dopo l’incontro di giovedì, i leader aspettano di vedere il testo definitivo della riforma fiscale. Ma se, a quel punto, dovessero decidere il gran passo che aleggia da settimane, se insomma dovessero proclamare lo sciopero, le difficoltà per l’ala sinistra della maggioranza e quindi per il premier sarebbero più minacciose di quelle registrate ieri.