Giovedì 16 Maggio 2024
VIVIANA PONCHIA
Cronaca

Alex Cotoia, da innocente a colpevole. “Non uccise il padre per legittima difesa”

In primo grado era stato assolto. Ora la condanna a 6 anni per omicidio volontario. La madre e il fratello non ci stanno: "Ci ha salvato la vita”

Alex Cotoia durante il processo a suo carico per l'uccisione del padre al tribunale, Torino, 13 dicembre 2023

Alex Cotoia durante il processo a suo carico per l'uccisione del padre al tribunale, Torino, 13 dicembre 2023

Torino, 14 dicembre 2023 – La sera del 30 aprile 2020, a Collegno, Alex Cotoia (ha voluto cambiare cognome prendendo quello materno) uccise suo padre, Giuseppe Pompa, con 34 coltellate e sei coltelli diversi per salvare la madre Maria dall’ennesimo brutale litigio. Aveva 19 anni, in primo grado fu assolto per legittima difesa.

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Il 1 novembre scorso la Consulta si era espressa anche sul suo caso e aveva stabilito che doveva essere eliminato il divieto assoluto di diminuire la pena in presenza di circostanze attenuanti, introdotto nel 2019 dal Codice Rosso. Ieri la Corte d’Appello di Torino lo ha condannato per omicidio volontario a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione e a un versamento a titolo provvisionale di 30 mila euro allo zio Michele, fratello del papà, che si è costituito parte civile.

Alex ai giudici ha sempre detto di avere agito per fermare il genitore, perché quella sarebbe potuta essere l’ultima volta: "Non ho mai smesso di volergli bene. Però il rapporto con lui era difficile. Ricordo tutti i gesti violenti verso di me, mio fratello Loris, soprattutto la mamma. Da figli siamo diventati ostacoli, le uniche persone rimaste a proteggerla. Facevamo i turni per non lasciarla sola e lui questo non lo sopportava, non riusciva a possederla al cento per cento".

Assolto. Condannato.

Secondo la ricostruzione agli atti quella sera il padre, un uomo violento e morbosamente geloso della moglie, aveva minacciato i familiari di morte: "Vi ammazzo, venite sotto, vi faccio a pezzettini". Le testimonianze sono state giudicate incongruenti. Dopo la sentenza, che il difensore Claudio Strata definisce "incomprensibile", la famiglia fa muro: "Alex non è un assassino, io potevo essere uccisa" - dice Maria Cotoia – A questo punto mi domando se a qualcuno sarebbe importato davvero qualcosa se fossi stata l’ennesima donna ammazzata". Il fratello Loris è sconcertato: "Deve essere assolto perché ci ha salvato la vita. Se vogliamo che le cose cambino, se vogliamo evitare che le donne continuino a morire e che non ci siano più casi come quello di Giulia, la sentenza non può essere questa, altrimenti è una sconfitta per tutti". L’avvocato aspetta le motivazioni per capire, la corte ha deciso di trasmettere gli atti alla procura per valutare le testimonianze dei familiari e qualcosa non gli torna: "Per il primo giudice erano affidabili, invece il giudice di secondo grado pensa il contrario. È difficile da accettare". È stata accolta in pieno la richiesta del pubblico ministero Alessandro Aghemo, che in origine aveva chiesto 14 anni e poi, rifacendo i conti, di applicare nella misura massima tutte le attenuanti, compresa quella della provocazione. Era stato lo stesso pm, a maggio e in veste di procuratore generale, ad ammettere di trovarsi in pieno cortocircuito: "Sono costretto a esigere una pena così severa, ma non credo che la meriti".

La legge contro il cuore

Aghemo aveva invitato la Corte d’Assise a sollevare una questione di legittimità costituzionale: "Il codice mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela e quindi una pena inferiore. Valutino i giudici se questa norma è ragionevole". Ammetteva che il caso è di quelli che la coscienza non digerisce: "Ma resta un omicidio e ci vuole coraggio. Il coraggio di condannare". Parlavano i fatti: una vittima, il suo assassino. Non poteva esserci legittima difesa. Il padre, secondo l’accusa, si sarebbe fermato alle parole e il figlio avrebbe aggredito una persona disarmata. Alex, studente modello di Scienze della Comunicazione, si disperava: "Non lo rifarei. Se potessi morirei io". Il processo è ripreso dopo che la Corte costituzionale ha permesso l’applicazione della prevalenza di alcune attenuanti rispetto alle aggravanti. In primo grado la Corte d’assise aveva spiegato che la morte di Giuseppe Pompa fu provocata da un’unica ferita "inferta per legittima difesa nel corso di una lotta ad armi pari contro un uomo che stava minacciando di fare una strage". Ieri mattina l’accusa ha chiesto invece proprio la pena che poi è stata inflitta ad Alex Cotoia, considerando anche l’attenuante della semi-infermità mentale, le generiche e l’avere agito in stato d’ira per un atto ingiusto (la provocazione). Secondo i giudici d’appello il divieto di bilanciare l’aggravante della provocazione con quella dell’omicidio di un familiare non permetteva di infliggere una sanzione adeguata, umana e commisurata alla gravità del fatto. In particolare, nel graduare la sanzione da infliggere al ragazzo, la corte torinese avrebbe ritenuto prevalente l’attenuante della provocazione perché l’omicidio, per quanto efferato, era maturato in un contesto familiare segnato da abusi e maltrattamenti protratti nel tempo. Proprio il quadro che aveva portato all’assoluzione per legittima difesa, poi ribaltata dalla sentenza d’appello.