Martedì 23 Aprile 2024

Ai democratici serve una linea O un congresso

Gabriele

Canè

Se ci fossero ancora i partiti, esisterebbero anche i congressi. E se ieri ci fosse stato il congresso dei Democratici avrebbe dovuto rispondere a due quesiti: chi siamo? Con chi andiamo? Alla fine Letta se lo è fatto in casa, si è riunito con qualche amico e con Calenda, e a verbale del mini dibattito interno ha stabilito per acclamazione contro chi stare: la destra. Ovvio. Per il resto, nella tradizione governista istituzionale del Pd, ha aperto al centro, ma non ha chiuso a sinistra. Perché il primo, o almeno Azione, è necessario per avvicinarsi alla vittoria il 25 settembre, ma non è sufficiente per raggiungerla. Lo sanno bene anche Verdi e Fratoianni che hanno subito bussato alla porta del Nazareno: "Voi 70, loro 30. E noi? Voi termovalorizzatori, e noi no. Attento, servono anche i nostri voti". I nobili quesiti finiranno ovviamente con qualche garanzia di rielezione per una pattuglia di compagni. Come per gli ex di Forza Italia che fino a ieri erano una coraggiosa risorsa, e che ora sono diventati "personaggi divisivi". E’ un crinale sottile e probabilmente obbligato quello su cui si muove il leader dem. Certamente un riformista, ma a capo di un partito che continua ad avere al proprio interno e nell’elettorato persone che dicono e fanno, come avrebbe voluto Nanni Moretti, cose di sinistra. Lui che è uomo di buoni studi e buona famiglia, preferirebbe certamente una bella, grande coperta della nonna, invece di quella a una piazza a mezzo che tirata da una parte lo scopre dall’altra. Insomma, è vero che la politica è fatta di scelte, ma poi capita che non si possa o non si riesca a farle. Neanche in un giorno in cui sembra che sia successo, suggellata da strette di mano e squilli di trombe. Soprattutto se esiste una legge elettorale, scritta da un (allora) esponente Pd, che ti obbliga a scendere a patti se vuoi provare a portare a casa una maggioranza. Anche una qualunque.