La ripresa post-Covid andava alla grande. Poi la Russia ha invaso l’Ucraina e si è fermato tutto. Ora le previsioni di crescita per quest’anno calano di settimana in settimana e c’è perfino chi, come Marco Fortis, economista della Cattolica, vede profilarsi il rischio di una recessione.
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Le più recenti stime di Prometeia sulla crescita di quest’anno parlano ancora di un +2,3% del Pil. Lei ci crede?
"Francamente no. Malgrado abbiano già dimezzato le previsioni di inizio anno, queste stime mi sembrano ancora ottimiste. Sarei già contento se l’Italia quest’anno crescesse dell’1-1,5%, ma tutto dipende da quanto durerà l’invasione russa dell’Ucraina. Se dovesse fermarsi nel giro di poche settimane, grazie a un accordo di pace, perderemmo ‘solo’ il mercato russo e naturalmente quello ucraino, visto che ormai il Paese è in macerie e la gente non ha certamente soldi per comprare prodotti italiani".
E se invece si prolungasse per mesi o fino alla fine dell’anno?
"In quel caso, con i prezzi energetici alle stelle, nessun economista può fare previsioni, ma le conseguenze sarebbero disastrose per l’Europa".
La nostra industria stavolta rischia grosso?
"L’Italia è il primo, secondo o terzo fornitore della Russia per un migliaio di prodotti, di un valore complessivo di quasi 7 miliardi. La Russia ha importato, nel 2020, 544 milioni di dollari di farmaci dall’Italia, 322 milioni di rubinetteria e valvolame, 200 milioni di vini e 133 milioni di spumante e prosecco, 103 milioni di caffè e così via. Ci sono pelletterie, beni di lusso, ma anche imballaggi e macchine utensili. Tutti questi settori, concentrati soprattutto nelle province di Milano e Bologna, vengono colpiti pesantemente".
Si tratta però solo dell’1,6% dell’export italiano.
"Sì, ma resta il fatto che se un’azienda esporta il 30% della sua produzione in Russia, rischia di chiudere. Facciamo l’esempio di Brunello Cucinelli, che esportava molto in Russia e ha appena chiuso diversi negozi. Quest’aggressione rappresenta la rottura di ogni schema: per quanto di piccole dimensioni, questo è diverso. Si è rotto un equilibrio anche all’interno di rapporti economici internazionali consolidati in anni dopo la caduta del muro di Berlino. Oggi siamo in presenza di una realtà sconosciuta".
Dopo quella del Covid-19, che era già una realtà sconosciuta.
"Questa crisi s’innesta su una serie di altri fattori negativi, come la scarsità delle materie prime e le difficoltà di approvvigionamento, che sono conseguenze della crisi Covid. In generale tutti i sistemi centrati su costi energetici e metalli sono con l’acqua alla gola. Fortunatamente abbiamo l’edilizia in fase positiva, anche se colpita essa stessa da carenza di materiali e componenti".
La crisi energetica colpisce anche le famiglie...
"L’impennata dei prezzi energetici genera inflazione e toglie risorse dalle tasche alle famiglie, danneggiandone il potere d’acquisto. Questo blocca la ripresa dei consumi, non solo in Italia ma anche in Germania, che è il primo mercato per l’export italiano. Direi che il danno indiretto dell’erosione al potere d’acquisto delle famiglie è perfino più grave di quello diretto sui rapporti commerciali. I consumi valgono i due terzi della crescita del Pil e se si bloccano rischiamo un’altra recessione, dopo quella del Covid-19".
Quale potrebbe essere la reazione dei mercati, considerando il pesante indebitamento dell’Italia?
"Da questo punto di vista non ho nessun timore. Da un lato il debito italiano è per due terzi finanziato da noi, dall’altro di questi tempi nessuno in Europa è incline ad agitare lo spettro del Fiscal compact. In più, l’Italia ha dimostrato di avere un sistema industriale molto solido: è quella che si è ripresa meglio dopo la pandemia, insieme alla Francia, recuperando rapidamente i cali del 2020. La nostra produzione industriale è addirittura già tornata sopra i livelli del 2019, mentre la Germania e la Francia sono ancora sotto di parecchio. Purtroppo di fronte a una guerra anche un’industria straordinaria ha i suoi problemi. Ma non dipendono da noi e i mercati lo sanno".