Venerdì 17 Maggio 2024
ALESSIA GOZZI
Economia

Pensioni, rispunta l’opzione donna. "Uscita anticipata con taglio del 10%"

Poletti non molla. Assegno di solidarietà per i disoccupati senior

Imola (Bologna), il ministro Poletti incontra i lavoratori della Cesi (Foto Isolapress)

Imola (Bologna), il ministro Poletti incontra i lavoratori della Cesi (Foto Isolapress)

Roma, 22 settembre 2015 - «UN GESTO di buon senso e buona volontà». Il premier non intende mollare sulla flessibilità delle pensioni. Rassicura sui costi dell’operazione dicendosi d’accordo con Padoan («non metteremo nessuna voce in più sui conti pensionistici»), e incalza i tecnici a studiare qualcosa che «magari abbia un costo immediato che si recuperi in futuro». Il ministro del lavoro Poletti dà una dritta: in tandem con il Tesoro, sta lavorando al nodo dello «scalino alto che blocca il turnover introdotto dalla legge Fornero». Le donne del settore privato, infatti, l’anno prossimo si vedranno alzare l’età di vecchiaia necessaria alla pensione da 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi (un anno e 10 mesi in più). Dunque, sul piatto del governo c’è un’opzione donna bis, con la possibilità di anticipare di tre anni l’uscita rispetto all’età di vecchiaia (62-63 con 35 anni di contributi) e una penalizzazione minore rispetto alla versione in scadenza, del 10% circa (3,5% l’anno) invece che del 25-30%. Questo perché non sarebbe previsto il ricalcolo contributivo sull’intera vita lavorativa ma un sistema legato alla speranza di vita.   MA SUL TAVOLO c’è anche una ‘opzione uomo’ per chi perde il lavoro e si trova nei pressi del traguardo pensionistico, per loro si studia un anticipo di tre anni con decurtazione dell’assegno legata all’equità attuariale (cioè al tempo più lungo di percezione dell’assegno). I tecnici stanno facendo i calcoli anche sul prestito ponte (proposta che fu avanzata dall’ex ministro del Lavoro Giovannini) da restituire poi nel corso della vita pensionistica e su una forma di assegno di solidarietà per le situazioni di maggior disagio. Sembra esclusa l’ipotesi Boeri, che prevede un ricalcolo dell’assegno con sistema interamente contributivo: sarebbe quasi a costo zero per lo Stato ma, con una penalizzazione attorno al 30%, diventerebbe una scelta solo nei casi disperati o di chi non ha problemi economici. Non proprio il senso dell’operazione chiesta da sindacati e minoranza Pd. Intanto, Cesare Damiano rassicura sulla sostenibilità della proposta firmata assieme al sottosegretario Baretta: «L’anticipo della pensione a 62 anni con 35 di contributi e l’8% di penalizzazione – spiega – può essere realizzata a costo zero nel periodo medio-lungo». Nell’immediato però costerebbe, secondo i promotori, circa quattro miliardi l’anno (8,5 secondo l’Inps, se tutti coloro che ne avessero diritto utilizzassero l’opzione). Una cifra impossibile da inserire nella Legge di Stabilità. E così per questa proposta si fanno i calcoli sulle percentuali, alzando l’asticella del 2% di penalizzazione annua, magari al 3-4%. La coperta delle risorse è corta. Ma non è l’unico ostacolo. Nel bel mezzo della trattativa con Bruxelles per ottenere più flessibilità sul deficit (oltre 17 miliardi), con il taglio delle tasse sulla casa da far digerire all’Ue e la spendig review che non centrerà i 10 miliardi di target, toccare la riforma delle pensioni è una mossa ad alto rischio. Una riforma («la migliore d’Europa» a detta di Renzi) che da qui al 2050 consentirà risparmi pari a 60 punti di Pil, cioè 980 miliardi. Più che un intervento strutturale, dunque, sono più realistici interventi che vadano a sanare situazioni specifiche. Tra parentesi, ci sono anche i 49mila esodati da salvaguardare, e il governo ha assicurato che nella manovra ci metterà una pezza. 

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