Lunedì 6 Maggio 2024

'Ready player one', Spielberg porta al cinema il mondo virtuale dei videogiochi

Intervista al regista americano, la cui ultima pellicola sarà in sala il 28 marzo. "La privacy è l'ultimo basione sacro della libertà"

Steven Spielberg (Lapresse)

Steven Spielberg (Lapresse)

Roma, 21 marzo 2018 - Steven Spielberg è a Roma: stasera, durante la cerimonia per la 62esima edizione dei Premi David di Donatello, in diretta da Raiuno, il grande regista americano di 'E.T. l’extraterrestre' e di 'Indiana Jones', riceverà dalle mani di Monica Bellucci il David alla carriera. E, mentre è ancora in programmazione il suo 'The Post', sta per arrivare nelle sale, dal 28 marzo, in 500 copie distribuite dalla Warner Bros, 'Ready Player One'. In questa sua trentaduesima pellicola, Spielberg si proietta nel mondo virtuale, dei videogiochi. Siamo nel 2045 e gli uomini, ormai per la maggior parte impoveriti da quello che è accaduto, hanno perso quasi tutto. Molti vivono in baracche e hanno una sola consolazione: il mondo parallelo e virtuale di Oasis in cui si può essere quello che si vuole. Artefice di questa realtà digitale, l'eccentrico stagionato 'nerd' James Halliday (Mark Rylance), uno Steve Jobs dei videogiochi. Alla sua morte per sua volontà l'immensa fortuna della sua industria andrà in dote a colui che per primo troverà un Easter Egg (ovvero un contenuto nascosto) nel software di Oasis. Ma uno sconosciuto giovane antieroe, Wade Watts (Tye Sheridan) sembra aver trovato la chiave per fare sua la ricchissima azienda di hardware che qualcuno invece vorrebbe contaminare con la pubblicità. 

Spielberg, come nasce questo film?

"Nasce dal libro di Ernest Cline. Era da tanto che non leggevo un libro che mi attirasse in questo modo, forse dai tempi di 'Jurassic Park' di Michael Crichton. Mi interessava parlare di due mondi, quello reale e quello virtuale, e di come le persone si rifugino in quel mondo virtuale, di Oasis. E’ una situzione forse non così lontana da noi". 

Molti, soprattutto i giovani, già vivono sempre connessi. Lei che rapporto ha con i social, la rete, il virtuale?

"Non ho profili social e anche le notizie, al mattino, tranne alcune cose che guardo sull’online, preferisco leggerle sui giornali. Mi piace avere tra le mani le pagine di carta".

Il messaggio finale del film è di non perdersi nel virtuale perché "non c’è niente di più reale della realtà".

"E' un film soprattutto di intrattenimento, una sorta di grande corsa selvaggia. Ma anche all’interno di questa favola si possono trovare degli ammonimenti, e credo che in questo senso esca nel momento giusto. Il messaggio è che non si può sempre fuggire e bisogna affrontare i problemi e il mondo reale. Io ho sette figli e quattro nipoti che ho visto crescere con gli smartphone in mano. Quando i bambini si incontrano, continuano a giocare attraverso i loro apparecchi, senza nemmeno guardarsi in faccia, anche se sono a 50 centimetri l’uno dall’altro. In questo Cline è stato preveggente".

Cosa ne pensa del caso Facebook esploso in questi giorni?

"Non posso esprimermi, ne so davvero poco. L'ho letto stamani sui giornali italiani, ma non conosco molto l'italiano. In ogni caso tutti hanno diritto alla privacy: è l'ultimo bastione sacro della libertà".

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