Giovedì 16 Maggio 2024

L'elefante e la battaglia tra Bernini e i domenicani

La storia della statua barocca in piazza Minerva comincia nel 1665 e da sempre l'elefantino è fonte di motti e lazzi dei romani, che lo chiamavano 'Porcino'

La statua dell'elefante di Gian Lorenzo Bernini (Lapresse)

La statua dell'elefante di Gian Lorenzo Bernini (Lapresse)

Roma, 14 novembre 2016 - Su quel gioiello del Barocco che è l'elefante del Bernini in piazza Minerva - sfregiato la notte scorsa da vandali - fioriscono storie di ogni tipo: la statua infatti è da sempre fonte di motti e lazzi dei romani, che lo chiamarono il "porcino della Minerva" per la sua stazza giudicata eccessiva anche per un pachiderma.  L'elefante che sorregge l'obelisco della Minerva, a due passi dal Pantheon, ha una lunga storia alle spalle, che inizia nel 1665, quando nel giardino di proprietà del convento domenicano annesso alla chiesa fu rinvenuto un piccolo obelisco, alto circa 5 metri e mezzo, con iscrizioni in geroglifici sui quattro lati. Era una delle numerose guglie egizie che decoravano l'Iseum, un enorme luogo di culto dedicato alle dee Iside e Serapide, il cui culto era stato importato dall'Egitto e che aveva molti seguaci tra i Romani; in epoca classica l'Iseum sorgeva nelle immediate vicinanze dell'attuale chiesa. 

Papa Alessandro VII decise di farlo erigere davanti alla chiesa di Santa Maria. Per poter scegliere una base per il monumento diversi architetti di fama sottoposero i loro progetti a una commissione papale. Uno di essi era un prete domenicano, Padre Domenico Paglia. Secondo il suo progetto, l'obelisco avrebbe dovuto poggiare su sei piccoli colli (gli stessi "montini" che apparivano nello stemma di famiglia dei Chigi, a cui Alessandro VII apparteneva), con un cane a ciascuno dei quattro angoli. Il cane era il simbolo dei domenicani, i quali dal latino Dominicanes venivano anche chiamati Domini canes, cioè "i cani del Signore", per sottolinearne la fedeltà.

l Papa però respinse il progetto, poiché ciò a cui mirava non era un monumento autocelebrativo, ma un simbolo della Divina Saggezza, che richiamasse l'antico significato di quel luogo. Fu dunque interpellato Gian Lorenzo Bernini perché ideasse una base adatta all'obelisco. Dei molti disegni presentati, fu scelto l'elefante, quale rappresentazione simbolica della forza: "...è necessaria una robusta mente per sorreggere una solida sapienza", dice l'iscrizione su uno dei lati del monumento. Proprio in quei giorni in tutta l'Urbe si parlava di un elefantino (vero), portato in omaggio dalla regina Cristina di Svezia che si era appena convertita al cattolicesimo.  Su quell'elefante Bernini modellò il suo, ispirandosi anche alla Hypnerotomachia Poliphili ("la battaglia d'amore in sogno di Polifilo") di Francesco Colonna, un romanzo del XV secolo molto conosciuto a quei tempi e ricco di allegorie, in cui il protagonista incontra un elefante di pietra che trasporta un obelisco. 

Nacque però il problema del peso: l'elefante, con il piccolo obelisco sulla groppa, doveva nel progetto originale sostenersi sulle sue zampe. Bernini, che lottò come un leone per difendere la sua idea, fu alla fine indotto dal Papa in persona (sobillato dai domenicani) a correggere il progetto inserendo un cubo di pietra sotto la pancia dell'animale, per evitare che il peso eccessivo facesse collassare la struttura.  L'artista tentò allora di mascherare il rude cubo di pietra scolpendo un'elaborata gualdrappa dell'elefante, ma nonostante il tentativo la statua si mostrava in complesso molto appesantita. Per questa ragione, dopo il suo innalzamento nella piazza, avvenuto l'11 luglio 1667 (nel frattempo il papa era morto da una quarantina di giorni), la gente cominciò a chiamarla il Porcino della Minerva. In seguito il nome mutò in Pulcino forse per un semplice motivo fonetico: persosi col passare del tempo il ricordo del fatto, porcino fu probabilmente confuso con purcino, che è appunto la forma dialettale romana per pulcino. 

Ma Bernini, dice la leggenda, si vendicò contro i domenicani per aver "rovinato" il suo progetto: l'elefante volge le terga al convento: "E grida con la proboscide rivolta all'indietro - recita un motto dell'epoca - frati domenicani, qui mi state!".