Venerdì 26 Aprile 2024

Aurora Mazzucchelli, in cucina sensibile e potente

Le sue ricette sono il frutto di una sapiente miscela di prodotti del Sud e tradizione emiliana. Scelta dettata dalle origini elaborata attraverso tecniche maturate nel tempo

Aurora Mazzucchelli, in cucina sensibile e potente

Aurora Mazzucchelli, in cucina sensibile e potente

Madre siciliana, padre bolognese, figlia d’arte con un’antica passione per i sapori del Sud, per il pescato oceanico e la tradizione emiliana. Sapori sempre netti, raffinati ma potenti, senza troppe concessioni alle mode e ai trucchi estetici. Ogni piatto è un bell’incontro tra equilibrio e potenza. La cucina di Aurora Mazzucchelli, cuoca del ristorante Marconi, è un po’ come lei: diretta, elegante, rigorosa, autentica, mai banale, mai appisolata sui suoi notevoli risultati.

Aurora, che cosa c’è di mediterraneo e che cosa di nordico nella sua cucina?

«Del Sud c’è l’uso appassionato dell’olio extravergine d’oliva, l’amore per certe verdure come le cime di rapa o il cavolo, gli agrumi, la frutta secca, le erbe aromatiche, il finocchietto, la macchia mediterranea. La mia indole è soprattutto questa».

Questa e non solo.

«Nel tempo, lavorando con mio padre e con la sua cucina campagnola emiliana e romagnola, si sono aggiunte tante altre cose: gli animali da cortile, il maiale, le paste fresche soprattutto all’uovo. E poi è arrivata qualche contaminazione dalla cucina nordica, che è la parte più contemporanea di quello che faccio. Ma diventano mie solo le cose che sento mie».

L’ingrediente più difficile da cucinare?

«Ci vuole sempre tanta sensibilità. Forse i piatti più insidiosi sono quelli che ormai si propongono di rado, i grossi arrosti di carne, quelli da carrello che mio padre faceva in crosta. Ogni tanto prendo i suoi libri e mi ci metto. Mi diverte».

C’è un piatto che le ha dato particolare soddisfazione, che la ha dato una nuova spinta a fare ancora meglio?

«Sì, alcuni hanno segnato il mio percorso, hanno influenzato anche il mio modo di pensare a un nuovo piatto. Ad esempio il maccheroncino con anguilla affumicata, ostrica e spinaci. Racchiude in sè tante cose: il Nord, il Sud, la pasta. È un modo completamente diverso di usare le mie tradizioni e le mie conoscenze».

Il piatto che racconta meglio le sue passioni di oggi?

«La testina con i petali di rosa e il limone salato, o lo stoccafisso con una crema di mandorla e brina di canocchia».

Che cosa fa per rendere più digeribili i suoi piatti?

«Da questo punto di vista sono fortunata. Tanti clienti dicono che ho una cucina leggera. Tutto è relativo, ovviamente. Il nostro ristorante non è una clinica. Ma non mi piace arricchire esagerando col burro o con i fondi di cottura, e questo aiuta la digestione ».

Un piatto meraviglioso che chiunque può cucinarsi a casa?

«Un’ottima pasta con le verdure, le zucchine, gli asparagi. O un pomodoro e basilico. Sono condimenti veloci da preparare, basta una scottata, o comunque richiedono pochi minuti di attenzione. Ci vuole solo un po’ di cura. Due erbettine aggiungono gusto e profumo».

La critica più utile che le hanno fatto?

«Quando ero agli inizi qualcuno mi consigliò di stare più attenta all’equilibrio del piatto. Da giovane magari tendi a esagerare con le salse, o a utilizzare troppi ingredienti. Più recentemente, qualche volta mi contestano di non seguire le nuove tendenze, di non usare certe tecniche. Ma queste sono scelte mie. La fermentazione, ad esempio, mi interessa e la sperimento volentieri per i fatti miei, ma ancora non la utilizzo».

La critica che non sopporta?

«Resto un po’ diffidente quando mi dicono che la mia è una cucina femminile. Magari, quando cerco di capire meglio, mi spiegano che è un complimento, ma mi rimane il sospetto che alludano a una cucina debole, con poca personalità. Mi rincuora quando invece mi dicono che ha carattere, che ha un’identità».

Ma esistono una cucina maschile e una femminile?

«Secondo me no. Forse noi donne siamo più concrete, nasciamo per nutrire e non solo per apparire, siamo meno inclini alle mode e all’estetica fine a se stessa. Siamo un po’ meno coraggiose o temerarie nel farlo strano, se così si può dire. Ma non credo proprio che un assaggio al ristorante consenta di indovinare se ai fornelli c’è un uomo o una donna».

Dicono che ci sia un ritorno alla tradizione nei gusti dei clienti e nelle proposte degli chef.

«Credo sia vero. È un fatto positivo, se letto nella maniera giusta. Il bello dell’Italia è la meravigliosa diversità, il territorio, le tradizioni. Le radici si sentono e devono sentirsi, dopodiché è giusto essere contemporanei nelle cotture, in certi alleggerimenti, nella cura di ogni dettaglio».

Tutto questo è anche una reazione al dilagare di schiumette, strisciate, trucchi estetici e chimici.

«Sì, ogni eccesso produce una reazione»

Il complimento più bello che ha ricevuto?

«Una sera un cliente mi disse che la cena lo aveva emozionato come se gli avessi scritto una lettera d’amore. È successo tanto tempo fa».

Un piatto che ha invidiato a un collega?

«Più che un piatto, mi colpisce il talento di Cristiano Tomei, la sua genialità nel trovare idee e modi di cottura sempre nuovi. Tutto sommato abbiamo gusti simili: il pomodoro, il fico, la mandorla, anche le frattaglie. Lui però riesce sempre a stupirmi».

Che cosa apprezza nei giovani e che cosa invece la fa arrabbiare?

«È ammirevole la loro voglia di imparare e di dedicare tante ore a questo mestiere, in un mondo in cui il sacrificio non è poi un valore familiare così predicato e diffuso. Spesso però sono arroganti, mancano di umiltà, non sono abituati al rimprovero e non lo accettano. Questo crea problemi. E poi c’è un’altra cosa».

Quale?

«Giustamente si comincia a ripetere e a capire che è importante evitare gli sprechi di cibo. Purtroppo a molti ragazzi il concetto è del tutto estraneo. Puliscono la verdura e ne buttano più della metà. Non per cattiveria, ovviamente: non ne hanno idea, non sono abituati al risparmio e al rispetto per le materie prime. Non fa parte della loro educazione».

Che cosa porta a casa dai suoi viaggi umanitari in Africa con Action Aid?

«Ho due bambine ruandesi adottate a distanza. Vabbè, è un po’ banale dirlo, ma la loro spontaneità i i loro sorrisi sono quello che porto sempre con me. Guardi i loro occhi e capisci che si può essere felici con poco. Ti rendi conto di quanto noi ci siamo allontanati da quella felicità, forse perché la cerchiamo troppo e non sappiamo bene dove trovarla ».

La sua cena di ieri?

«Abbiamo mangiato una pizza, qui nel nostro forno».