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Glicemia e diabete, gli scompensi che portano al pronto soccorso

Almeno un paziente diabetico su sei, ogni anno, viene accompagnato in ospedale per complicanze: i dati dell’Istituto Superiore di Sanità

12/02/2024

Gli alti e bassi della glicemia provocano tremori, risvegli notturni, sudorazioni profuse, perdita di coscienza fino al collasso, migliaia di corse in ambulanza con trasferimento in ospedale. Le più frequenti urgenze per scompensi in una persona con diabete includono ipoglicemia (livelli bassi di zucchero nel sangue), iperglicemia (livelli alti di zucchero nel sangue), chetosi diabetica e complicanze cardiovascolari.

 

Di pazienti diabetici in pronto soccorso si è parlato mesi addietro a Roma in Senato, presso l’Istituto di Santa Maria in Aquiro, nel corso di un convegno moderato da Stefano Del Missier, promosso della rivista di politica sanitaria IHPB (Italian Health Policy Brief). Le raccomandazioni scaturite da quell’incontro sono ancora attuali. L’Istituto Superiore di Sanità stima che almeno un paziente diabetico su sei, ogni anno, venga ricoverato in urgenza per complicanze del diabete che si potevano prevenire. Un dato che, considerando la popolazione con diabete (quasi cinque milioni di persone in Italia) rende l’idea delle dimensioni del fenomeno e della sua complessità, tale da imporre contromisure in una logica di continuità di cura. Problematiche sulle quali rappresentanti delle istituzioni, clinici e pazienti si sono confrontati, per definire gli irrinunciabili criteri di una più appropriata gestione di eventi acuti, oggi così frequenti.

 

Troppo spesso accade che, una volta superata la fase emergenziale, si viene dimessi senza affrontare fino in fondo le cause che hanno provocato tali inconvenienti. “Le ragioni delle carenze assistenziali sono certamente molteplici – ha sottolineato la senatrice Daniela Sbrollini, che ha promosso l’iniziativa dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili – credo che un contributo maggiore dovrebbe venire anche da una medicina del territorio più solida, in grado decongestionare la pressione sul pronto soccorso, almeno per i casi meno urgenti che sarebbero gestibili all’esterno dei presidi ospedalieri”. Una generale convergenza di pensiero tra gli intervenuti ai lavori è chiaramente emersa nella considerazione che una risposta sanitaria più efficiente e organica per questo tipo di pazienti può venire solo da uno specifico percorso diagnostico terapeutico e assistenziale al momento della dimissione.

 

“Sarebbe auspicabile un approccio che preveda la presa in carico del paziente con modalità strutturate, in grado di garantire una successiva gestione ottimale condivisa con la medicina del territorio – ha dichiarato Francesco Pugliese, direttore del Dipartimento dell’Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma – un approccio che, da un lato, deve puntare sull’informazione, la conoscenza dei meccanismi fisiopatologici, e che al tempo stesso si avvalga di una rete assistenziale multidisciplinare, nel segno della continuità. In questo senso, un contributo importante viene dall’innovazione e, in particolare, dalle nuove tecnologie che consentono monitoraggio dei livelli glicemici con sensori e anche in remoto, secondo le logiche di una sempre più efficiente telemedicina”.

 

Proprio in relazione al contributo che la sanità digitale in generale e la telemedicina in particolare potranno offrire in questo campo Simona Loizzo, presidente dell’Intergruppo Parlamentare Sanità Digitale e Terapie Digitali, ha puntualizzato: “Credo che la patologia diabetica sia uno degli ambiti sanitari che potrà trarre maggior beneficio dalla progressiva affermazione non solo della sanità digitale – e quindi della telemedicina – ma anche e soprattutto dalle terapie digitali: due voci del futuro prossimo del nostro sistema sanitario sulle quali il nostro intergruppo sta lavorando con impegno per la messa a punto di un quadro normativo che ne possa favorire la rapida affermazione”.

 

Sul tema del monitoraggio in remoto dei livelli glicemici resta però ancora molto da fare. Basti pensare che una ricerca condotta di recente dall’Istituto Bhave ha rilevato che questa tecnologia è utilizzata solo dal 50% circa dei pazienti eleggibili, costituita oggi dai pazienti diabetici tipo 1 e tipo 2 in trattamento con terapia insulinica multiniettiva: un dato indice della necessità di formazione che permetta di utilizzare in modo più appropriato queste tecnologie, valutandone l’ampliamento anche a fasce di popolazione più ampie che potrebbero beneficiarne, come ad esempio i pazienti diabetici di tipo 2 in trattamento con insulina basale. Questo permetterebbe di prevenire l’arrivo in pronto soccorso, grazie alla riduzione del rischio di eventi acuti e complicanze croniche, in una popolazione ad alto rischio.

 

Un appello importante è infine venuto da una rappresentante del Terzo Settore: “Sappiamo bene che il paziente diabetico è un soggetto complesso che presenta esigenze particolari e che richiede un approccio adeguato e multidisciplinare- ha dichiarato Lina Delle Monache di Federdiabete Lazio- le parole d’ordine per la gestione delle fasi post ospedaliere di questi pazienti non possono che essere due: continuità di cura e dimissione protetta, basata su un network ospedale-territorio”.