La somministrazione ideale è quella quotidiana e va tarata sulle carenze specifiche del paziente
Vitamina D, questa conosciuta: infatti se ne parla tanto ed è sempre più evidente il ruolo che riveste per la nostra salute, in particolare per quella delle nostre ossa. Ma davvero la conosciamo così bene? Sappiamo quale assumere, quando e in quali dosi? Ne parliamo con la professoressa Ombretta Viapiana (in foto), UOC Reumatologia, Università degli Studi di Verona.
«La vitamina D è un micronutriente ed il vero problema è quando manca o ce ne è meno del necessario ed è in questi casi che deve essere supplementata. Essa è fondamentale per il nostro organismo, perché regola l’assorbimento di calcio a livello intestinale, ed è indispensabile per avere una buona salute delle ossa e prevenire il rischio di fratture».
«Il dosaggio dei livelli circolanti è utile per identificare chi è gravemente carente, anche se nella nostra popolazione nei soggetti non supplementati specie se anziani la carenza è purtroppo molto frequente. La nota 96 indica alcune delle popolazioni più a rischio dove eseguire il dosaggio per selezionare così quali sono i pazienti che più necessitano di supplementazione. Purtroppo alcune categorie, come ad esempio i soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico non sono compresi e loro sono tra quelli più a rischio di carenza proprio perchè per la loro malattia non possono esporsi al sole».
«Nei soggetti carenti di vitamina D la scelta più razionale non può che essere quella di supplementare con vitamina D (colecalciferolo) visto che sarà poi il nostro organismo a metabolizzare questo substrato in modo da sfruttarlo al meglio in base alle sue necessità».
«In caso di grave insufficienza epatica è giustificato ricorrere al calcifediolo (che rappresenta la vitamina D già «modificata» dal fegato) anche se con attenzione perché dosaggi esagerati potrebbero comportare il rischio di una eccessiva perdita renale di calcio. Per quanto riguarda i prodotti idrossilati in posizione 1 (alfa-calcidiolo e calcitriolo) si tratta di veri e propri ormoni a gestione ultra-specialistica nefrologica (in caso di grave insufficienza renale) o endocrinologica (nei pazienti in cui sono state asportate le paratiroidi) e nulla hanno a che vedere con la vitamina D come la consideriamo noi».
«Parliamo di colecalciferolo. Non esiste un dosaggio uguale per tutti, dipende dalla entità della carenza, in ogni caso sono consigliate dosi tra le 800 e 2000 unità al giorno a seconda delle condizioni del paziente».
«Sono stati pubblicati anche di recente degli studi che dimostrano come la dose giornaliera sia sicuramente la maniera più efficace per avere una normalizzazione della vitamina D. La dose giornaliera sembra anche avere effetti extrascheletrici positivi, che non vengono rilevati quando la vitamina D viene somministrata in un’unica dose. Poi ci sono vari schemi di terapia che sono settimanali o mensili, e non andiamo oltre al mese. Ma se devo esprimere un parere, la cosa migliore è la somministrazione quotidiana che è anche quella più vicina alla fisiologia, al processo naturale di produzione del nostro organismo».
«Non esiste nella pratica clinica un rischio di assumere troppa vitamina D se consideriamo il colecalciferolo, soprattutto se parliamo di queste dosi. Se restiamo nel range delle schede tecniche dei farmaci non avremo né sovradosaggio né effetti collaterali».
La vitamina D (che in realtà è un ormone) è detta «vitamina del sole» perché si attiva con l’esposizione al sole. È indispensabile per la salute delle ossa e del sistema immunitario. E avere una buona quantità di vitamina D è utile sia per la prevenzione del cancro sia per la prognosi di alcuni tumori, tra cui quelli del colon e del sangue, almeno secondo una ricerca condotta dall’Università della Finlandia orientale e dall’Università autonoma di Madrid.
E secondo un recente studio di un ricercatore della Società Italiana di Diabetologia (Sid), la vitamina D è una possibile arma di prevenzione del diabete di tipo 2 poiché migliora la insulino-resistenza e la funzione delle cellule beta pancreatiche produttrici di insulina. Infine di recente è stato prodotto in laboratorio un nuovo pomodoro biofortificato, geneticamente modificato per accumulare nelle foglie e nei frutti la provitamina D3, il precursore assumibile della vitamina D.
Il risultato è pubblicato su Nature Plants da un gruppo internazionale coordinato dall’Istituto di Scienze delle produzioni alimentari del CNR di Lecce, con il John Innes Centre di Norwich (GB).