Per Raffaele Fitto l’esperienza con il governo Meloni finisce qui. Si dimette oggi e da domenica entrerà in carica come commissario e vicepresidente esecutivo Ue. La sua sostituzione così scala molte posizioni nell’agenda della premier, piazzandosi ai primi posti. Giorgia in realtà propende per rinviare la nomina fino a gennaio, è probabile che a suggerire l’accelerazione sia stato il confronto con il capo dello Stato mercoledì a pranzo, reso noto ieri. I motivi dell’outing sono intuibili: negli ambienti governativi si vuol dimostrare che Meloni si muove con tranquillità nelle istituzioni, anche se il momento è tutt’altro che sereno. La sua coalizione si accapiglia su tutto. Tanto che Mattarella avrebbe chiesto di abbassare i toni: va bene la dialettica politica, ma così è troppo, lo sfogo del presidente con l’ospite, salita sul Colle quando al Senato era appena andata in scena la spaccatura della maggioranza. Urge tranquillità, di dossier da chiudere – il senso del ragionamento – ce ne sono parecchi. La ricognizione, fissata già da alcuni giorni, è stata a tutto campo, anche se gli argomenti più sensibili sono stati la manovra, la riforma della giustizia, le tensioni dentro il Csm, la nomina dei giudici della Corte costituzionale scaduti o che stanno per scadere e, appunto, la sostituzione di Fitto alla guida degli Affari Europei.
Dossier che ha un qualche rilievo anche nelle tensioni della maggioranza di questi giorni: si sa che Tajani ha chiesto per un esponente del suo partito – Deborah Bergamini o Alessandro Cattaneo – quella postazione come riconoscimento dell’accresciuta importanza di FI rispetto agli equilibri di due anni fa. Ma neppure lui si fa illusioni: il no di Giorgia era dato per certo già da tempo e Salvini sostiene apertamente la premier: "Se esce uno di una squadra, entra uno di quella squadra". Chiudere la pratica nel week-end come ipotizza qualcuno eviterebbe altri strascichi polemici. Si vedrà. Meloni non ha ancora abbandonato l’idea di spostare a Chigi i due temi più importanti di cui si occupava Fitto: il Pnrr che potrebbe essere affidato al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, e la Coesione che andrebbe ad Alfredo Mantovano. Gli Affari europei – dicastero cruciale per il Quirinale che chiede un profilo all’altezza – spogliati delle competenze più nevralgiche potrebbero andare a Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, sempre che Giorgia non decida di promuovere il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli. E chissà che non spunti qualche altro nome all’ultimo momento.
Non che sia l’unico motivo di tensione. Ce ne sono molti altri: il sospetto che la regia del voto contro il canone sia stata di Mediaset permane, anche se Salvini afferma di non crederci: "Mi rifiuto di pensare che Tajani voti per favorire un’azienda privata". Poi, c’è una questione di ripicche sui pochi fondi a disposizione della manovra: FI voleva una nuova proroga per l’entrata in vigore della sugar tax, ma i soldi necessari erano stati spostati sul taglio del canone Rai. Infine, resta l’irritazione degli azzurri per la manovra con cui Meloni, allettandolo con la promessa di candidarlo a sindaco di Milano, starebbe cercando di attrarre nella propria area Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, il ’Tajani buono’ per dirla con FdI.
Spine che tutti cercano di ignorare. Dopo la tempesta, ecco la quiete. O quasi. Complice un altro giro di colloqui con Salvini e Tajani, i due si sono affrettati a dichiarare che "non c’è nessun litigio". L’unica stecca nell’angelico coro è quella di Raffaele Nevi, portavoce di Forza Italia. In un’intervista si allarga decisamente troppo: "Salvini, passatemi il termine, fa un po’ il ‘paraculetto’ e dice che nel programma c’è anche la riduzione della pressione fiscale per difendere l’emendamento bocciato sul canone Rai. Ma quella mancetta di 0,50 euro a cittadino che avremmo regalato anche ai super-ricchi sarebbe costata 450 milioni di euro agli altri contribuenti". I leghisti non fanno un plissè: "Peace and love", replica Salvini. A rompere la calma è Igor Iezzi: "Forza Italia tenta di distinguersi. Ma se lo fai fuori del programma di governo, come con la cittadinanza sui minori è male, il Pd già c’è, non serve un doppione". Poco dopo Nevi spintaneamente chiede venia: "Mi scuso se ho offeso qualcuno".
Se i motivi di tensione fossero solo questi, si tratterebbe davvero di schermaglie come dice la premier. In realtà i nodi veri sono altri: una maggioranza unita in Italia ma attestata su posizioni opposte e conflittuali in Europa. E poi, la competizione serrata che Tajani ha deciso di ingaggiare non solo con Salvini, ma anche con la premier. Sono nodi che verranno al pettine con il tempo.