Un esposto presentato alla Procura antimafia sulle infiltrazioni criminali nel flussi migratori regolari, la richiesta di inserimento della questione migranti all’ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo di fine giugno, la visita oggi agli erigendi centri di permanenza in Albania e l’annunciata modifica della legge Bossi-Fini. Non si può dubitare di un pizzico di verve elettoralistica nell’operosità dimostra ieri dalla premier Giorgia Meloni in tema di politiche migratorie.
Il giorno dopo aver bacchettato le intemperanze leghiste sull’europeismo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la presidente del Consiglio si intesta la battaglia contro la clandestinità trascurata dal Carroccio per polemizzare con l’Europa. Come gli altri argomenti di questi giorni, tutti finalizzati soprattutto a motivare i propri elettori più che a conquistarne. Riformare la Bossi-Fini non è un’idea copiata dal programma elettorale del Pd (che in effetti ne parla, a differenza di quelli delle forze di governo), ma da tempo coltivata dal sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano. Ieri mattina è stato lui a accompagnare la premier dal procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, per presentare l’esposto in cui denuncia che "solo una frazione dei titolari di visti di ingresso rilasciati a seguito di click day arriva a stipulare un contratto di lavoro", mentre per il resto "si tratta di persone che hanno fatto legalmente ingresso in Italia, ma delle quali si sono perse le tracce". Stando ai dati del lavoro stagionale agricolo, c’è "un emblematico 97,2% di stranieri entrati come lavoratori agricoli stagionali per imprese collocate in Campania, ma che non hanno stipulato il contratto di lavoro per il quale avevano formalmente fatto ingresso nel territorio dello Stato". Possibili infiltrazioni criminali nella gestione dei migranti secondo la premier sarebbero avvalorate "dal fatto che la stragrande maggioranza degli stranieri entrati in Italia negli ultimi anni avvalendosi del ‘Decreto Flussi’ proviene da un unico Stato, il Bangladesh, dove le autorità diplomatiche parlano di fenomeni di compravendita dei visti per motivi di lavoro". Replicano però sia la stessa Dna (il nostro compito è quello di "impulso e coordinamento di indagini delle procure distrettuali" che stanno già indagando sul fenomeno), sia il procuratore di Napoli Gratteri: "Monitoriamo da tempo le domande dei flussi".
Che il problema esista lo dimostrano le numerose inchieste – dal Salento al foggiano, dalla Calabria all’Emilia – a carico di imprenditori accusati di aver favorito l’immigrazione clandestina, rigorosamente a scapito dei migranti costretti a pagare: falsi, truffe, ricatti, riciclaggi. Questioni su cui i dem della commissione Antimafia chiedono di fare "fare chiarezza, contrastando e colpendo illegalità e traffici illeciti, ma evitando nel contempo rischi di speculazioni". Ragion per cui chiedono di convocare in audizione la premier e il procuratore Melillo per ascoltarli "su ipotesi di infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione di flussi di migranti".
Certo Meloni vuol dimostrare di aver preso la questione per le corna. Oltre all’esposto e l’ammissione del fallimento della Bossi-Fini, la premier ascrive al governo di aver abbattuto "del 60% gli arrivi illegali rispetto allo scorso anno". Di più: in una telefonata col presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiede di affrontare i temi della sicurezza e difesa e confermare il nuovo approccio europeo alla gestione del fenomeno migratorio in occasione del Consiglio del 27 e 28 giugno. Che però avrà come prima priorità la scelta della candidatura alla presidenza della Commissione. Oggi poi Meloni sarà in Albania per verificare l’andamento dei lavori nei due centri di permanenza per migranti in costruzione, per un ammontare di 850 milioni di euro. Che Matteo Renzi sostiene sarebbe stato meglio utilizzare per la sanità italiana.