
IL MOVIMENTO SI CONFIGURÒ COME IL MIGLIOR INTERPRETE DELLA CRISI DELLA BELLE ÉPOQUE
"Vogliamo che i nostri figliuoli seguano allegramente il loro capriccio, avversino brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal tempo!". Non è esattamente un ragazzino Filippo Tommaso Marinetti quando nel 1909 redige il secondo proclama futurista, che due anni dopo uscirà col celebre, definitivo titolo ’Uccidiamo il chiaro di luna’. L’artista e ideologo del Futurismo ha 33 anni. E anche i suoi più giovani epigoni sono tutti dei primi anni 80 dell’Ottocento: quasi tutti più o meno trentenni. Il Futurismo è stato tuttavia la più precoce, esuberante, prolifica corrente artistica di avanguardia che ha sedotto e esaltato la gioventù del primo Novecento dall’Italia al resto d’Europa.
Non si tratta di un movimento prettamente giovanile e men che mai di un fenomeno di costume. L’inizio del XX secolo sono tempi in cui rimangono enormi i divari sociali e l’analfabetismo, nonostante l’innalzamento dell’obbligo alla quarta elementare e l’istituzione dei corsi di avviamento professionale attraverso cui si conseguiva la licenza elementare. Le correnti artistiche e culturali sono dunque prettamente elitarie. Ma l’influenza del Futurismo sulla gioventù del primo Novecento è tale che non lo si può omettere da una rassegna sui movimenti giovanili.
Il movimento futurista, con la sua indefessa produzione di manifesti ideologici e tecnici per tutte le arti, si configura infatti come il miglior interprete della crisi della Belle époque e dell’avvento della nuova società industrializzata. Il Futurismo si presenta infatti come corrente culturale di profonda rottura. Critica fino all’estremo nei riguardi dell’inerzia delle accademie, il sonnolento e abitudinario perbenismo della società borghese, l’insopportabile morbosità del sentimentalismo romantico e dello struggimento per il passato, l’arte futurista aderisce a un vitalismo totalizzante di ispirazione nietzschiana, è prepotente e chiassosa, ammira e esalta in caos delle metropoli industriali, inneggia all’innovazione e il progresso tecnico-scientifico, nutre il culto del dinamismo e la velocità, delle automobili e del volo. Difatti Antonio Gramsci riconosce che i futuristi "hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria".
A cura di Cosimo Rossi