Sabato 27 Luglio 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Il cielo sopra Wenders: "Una vita più semplice”

Il regista tedesco e la svolta minimalista del nuovo film ‘Perfect Days’ girato in Giappone: "Il cinema contemporaneo velocizza tutto troppo"

Wim Wenders, 78 anni: dal 4 gennaio nelle sale il suo film Perfect Days

Wim Wenders, 78 anni: dal 4 gennaio nelle sale il suo film Perfect Days

È il suo film più bello, da molti anni a questa parte. Ed è un film di una semplicità assoluta. Su di un uomo che pulisce i bagni pubblici a Tokyo. Lo fa con cura, con dedizione, come se fosse un monaco, che coltiva in questo modo la sua santità. Il lavoro più umile del mondo che diventa un gesto Zen. È uno dei suoi film più belli, ed è quasi senza parole: passano dieci minuti prima che il protagonista ne pronunci una. È un film di piccoli gesti amorevoli, di sguardi che si posano sulle altre persone, o sul disegno che fanno le ombre delle foglie su un muro. Piccoli gesti e tanto rock anni ’60 e ’70. Quello che, dice da sempre il regista, gli ha salvato la vita. Quello che il suo protagonista ascolta, da vecchie musicassette, mentre guida il suo van. Lou Reed e Van Morrison, Otis Redding e Patti Smith, i Rolling Stones e i Kinks. Anche da quelle parti passa la felicità.

Il protagonista è Kôji Yakusho – una leggenda del cinema giapponese, già visto in Babel di Alejandro Iñarritu – premiato a Cannes, per questo film, per la migliore interpretazione maschile. Il regista, a cui il rock ha salvato la vita, è Wim Wenders. Una Palma d’oro a Cannes, un Leone d’oro a Venezia, quattro lauree ad honorem – una alla Sorbona – e un Orso d’oro alla carriera. È il regista degli angeli nel cielo sopra Berlino, di Paris, Texas, di film diventati di culto come Alice nelle città . Perfect Days è il titolo del nuovo film, candidato dal Giappone agli Oscar, in uscita in Italia il 4 gennaio distribuito da Lucky Red. Su Zoom, abbiamo intervistato il regista.

Wenders, questo film ha rarissimi dialoghi. Come ha lavorato con il protagonista, Kôji Yakusho?

"Quando ci siamo incontrati, abbiamo subito sentito che potevamo parlare fra noi senza bisogno del traduttore: c’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi gesti. Abbiamo imparato a parlare senza parole. E ho scritto il film in questo modo. Hirayama – questo il suo nome nel film – è qualcuno che non viene ‘visto’ dagli altri, ma che vede tutti. Un po’ come gli angeli, a Berlino, in un mio precedente film".

Anche nel suo modo di girare c’è molta semplicità. Quasi un ritorno alle origini del cinema…

"Ho fatto un film su un uomo che vive, semplicemente. E ho girato tutto il film con la telecamera sulle spalle dell’operatore: non ci sono droni, non ci sono gru, non ci sono steadycam. Anche il formato dell’inquadratura è ‘antico’, quel formato quasi quadrato, come nei vostri film con don Camillo e Peppone..." (lo dice proprio in italiano).

Nostalgia per la semplicità?

"Il cinema contemporaneo velocizza tutto. Sentivo il bisogno di toccare terra. Nel cinema, come nella vita".

Il protagonista compie con cura ogni gesto. Dare l’acqua alle piantine di casa o pulire un lavandino.

"È un po’ come un monaco Zen. Vive la filosofia della cscienza del momento. Essere nel ‘qui ed ora’ e non pensare troppo al futuro. Alla nipote, dice ‘la prossima volta è la prossima volta, e ora è ora’, e trasforma questa frase in una canzoncina. Non dà messaggi con il dito puntato".

Ci sono anche bellissime sequenze dei suoi sogni, girate da sua moglie Donata Wenders. Come avete lavorato?

"Donata è una fotografa di grande fama. Io ho girato il film in pochissimi giorni, non avevo il tempo di girare i sogni. Ho pensato a Donata, che aveva fatto le foto di scena, e che era testimone di tutta la lavorazione del film. Ha preso dei frammenti di ogni giornata del protagonista, dei dettagli, e ha costruito su di essi delle brevi sequenze, come i riflessi delle foglie su un muro".

Ha girato un film che cerca l’armonia. Nel mondo, però, ci sono sempre più conflitti. Come vive questo momento storico?

"Se penso alla mia giovinezza, agli anni ’70, mi sembra che la vita fosse migliore, che avessimo più futuro. Forse proprio dal cinema, oggi, può venire lo spunto per riconsiderare, tutti, il modo in cui viviamo. E cercare una vita più semplice. È quello che ci può rendere più liberi".