Mercoledì 24 Aprile 2024

Quegli operai che scrivono romanzi : "Ma è lotta, non intrattenimento"

Il secondo Festival di letteratura working class. Il direttore Prunetti: "Vogliamo cambiare l’immaginario"

Quegli operai che scrivono  romanzi : "Ma è lotta, non   intrattenimento"

Quegli operai che scrivono romanzi : "Ma è lotta, non intrattenimento"

È un festival letterario che si presenta con una frase del filosofo e attivista Mark Fisher (1968-2017), uno dei critici più acuti del capitalismo contemporaneo: "Non siamo qui per intrattenervi". Dal 5 al 7 aprile a Campi Bisenzio (Firenze), al presidio operaio alla fabbrica ex Gkn, la più lunga "assemblea permanente" della storia sindacale italiana, è di scena la seconda rassegna di letteratura working class. Alberto Prunetti, direttore del Festival e a sua volta "traduttore precario" e scrittore working class (libri come Amianto e 108 metri, tradotti anche all’estero), sorride trepidante nell’attesa e non lascia trasparire alcuna ansia per le tensioni che corrono anche quest’anno fra il liquidatore incaricato dalla proprietà e il Collettivo di fabbrica, organizzatore della rassegna con la soms Insorgiamo e la casa editrice Alegre. Il clima, certo, non è dei migliori, visto che gli operai rimasti (circa 170) non ricevono né stipendio né cassa integrazione da tre mesi. Ma il Festival è già un’istituzione, con uno spazio specifico nel panorama culturale nazionale.

Prunetti, non promettete intrattenimento. Qual è allora il senso del Festival?

"C’è l’idea diffusa che il compito degli scrittori sia creare emozione, lavorare sui sentimenti, coinvolgere i lettori, noi invece crediamo che scrittori e scrittrici di classe operaia debbano lavorare sull’immaginario per contribuire a cambiare i rapporti di forza nella società. Quindi non ci possiamo permettere il lusso di intrattenere le persone. Questo lo possono fare gli scrittori che non si pongono problemi di classe perché hanno il privilegio di stare in un mondo che corrisponde ai loro desideri. In un momento in cui gli operai sono da mesi senza stipendio, noi diciamo che non vogliamo vivere in un mondo così e con questo spirito organizziamo il festival".

Emozioni bandite, allora?

"In realtà no. L’antropologo David Graeber, nel libro Bullshit jobs, scrive che le classi popolari, con le canzoni, la poesia, i romanzi, creano un immaginario che serve a tenere alto l’umore degli operai e delle loro famiglie, a prendersi cura gli uni degli altri. Questo è uno degli scopi del festival, l’anno scorso lo abbiamo raggiunto".

L’esistenza di questo festival indica che qualcosa sta cambiando nei rapporti di forza?

"Sono due questioni diverse. All’interno del campo letterario, fino a pochi anni fa non si parlava di classe operaia, semmai di lavoro, penso ai libri sul precariato dei primi anni Duemila, ma sempre nell’ottica del singolo, facendone una questione esistenziale. Forse proprio con il mio Amianto e poi con la collana working class di Alegre si è visto che anche in Italia c’è un campo letterario aperto. Certo meno che all’estero: penso alla Svezia, alla Gran Bretagna dove un romanzo come Storia di Shuggie Bain di Douglas Stuart vince il Booker Prize, o alla Francia con i libri di Annie Ernaux e casi letterari come Alla linea di Josef Pontus. Noi non abbiamo avuto bestseller ma proprio la mobilitazione Gkn ha segnato un momento di rottura. Per gli operai Gkn l’immaginario è stato subito un terreno di lotta: con le canzoni, il teatro, il cinema, i concerti, una comunicazione sempre creativa. L’intreccio fra il campo letterario e l’attivismo culturale del Consiglio di fabbrica ha portato alla nascita del festival, che a questo punto è il più importante in Europa fra quelli sociali e politici".

Che differenze ci sono fra questo e gli altri festival letterari?

"La prima differenza è che il nostro festival si fa dentro la lotta di classe, non è consumo culturale. E poi invece di avere sponsor o contributi di filantropi, ci troviamo a fare i conti con le pressioni della proprietà. Non abbiamo biglietti d’ingresso né altre entrate, ci sosteniamo con il crowdfunding".

Che c’è da aspettarsi dal festival?

"Quest’anno, fra tante altre cose, parliamo della lotta di classe all’interno dell’editoria, per rimarcare che l’industria del libro è appunto un’industria e quindi può accadere, per dire, che anche i libri degli autori più progressisti siano stampati da lavoratori senza diritti, quasi schiavizzati. E sappiamo quanti autori, traduttori, disegnatori malpagati e sfruttati ci sono nell’editoria. Poi mi aspetto molto dal focus sulla Svezia: lì c’è un’associazione con 400 scrittori e scrittrici working class, con due Nobel vinti negli anni Settanta. E ci sarà Anthony Cartwright, con un bellissimo romanzo, Come ho ucciso Margaret Thatcher: il titolo sembra cruento, ma è una storia sugli anni del thatcherismo visti con gli occhi di un bambino; un romanzo pieno di ironia. E poi uno zio di Anthony negli anni ’80 fu licenziato, con tanti altri operai, dallo stabilimento Gkn di Birmingham..."

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