Lunedì 14 Ottobre 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Alberto Prunetti: "La Maremma era un soviet di minatori e carbonai. Il fascismo fu bonifica sociale"

L’autore dei “Amianto“ e “108 metri“ dall’autobiografismo working class al romanzo storico. "Il regime nacque nelle periferie. Fu un scontro linguistico, politico e di classe fra alto e basso"

Alberto Prunetti: "La Maremma era un soviet di minatori e carbonai. Il fascismo fu bonifica sociale"

I minatori, dipinto di Giuseppe Gianni Balus (1980). Il romanzo di Alberto Prunetti Troncamacchioni prende spunto da un fatto di sangue del maggio 1922

Roma, 29 settembre 2024 – "Racconto una storia di minatori e carbonai, un storia minerale. Non c’è da aspettarsi emozioni come nei romanzi borghesi, ma i miei personaggi sono pezzi di minerale, quando si mettono assieme fanno scintille": Alberto Prunetti ha scritto un romanzo che già nel titolo, Troncamacchioni (Feltrinelli), lascia intravedere vicende un po’ selvatiche, tipiche di una terra, la Maremma, che ha fama d’essere dura, impervia, anche amara, come dice la famosa canzone, scritta e cantata da carbonai in trasferta. Prunetti stavolta lascia la narrazione autobiografica working class con la quale si è fatto conoscere, raccontando la vita operaia (e la malattia professionale) del padre (Amianto, 2012) e la sua esperienza di aiuto cuoco e pulitore di cessi in Inghilterra (108 metri, 2018). Stavolta il suo è un romanzo storico, poco convenzionale, sulla rivoluzione mancata dopo la Grande guerra e la nascita del fascismo in Maremma. Lo spunto è la ricostruzione di un fatto di sangue a Tatti, frazione di Massa Marittima: un ciabattino ucciso – probabilmente per mano fascista – in uno scontro fra i “rossi” del posto e una squadraccia venuta da fuori. Seguiranno vendette, repressioni, fughe, processi, insomma un bel pezzo di storia del Novecento osservato dai margini geografici e sociali del Paese, in un microcosmo palpitante di passioni.

Prunetti, troncamacchioni?

"Per troncamacchioni, in senso proprio, si intende uno che va nella macchia e l’attraversa a diritto, senza bisogno di scansare gli alberi. Quando uno vive d’ignoranza, fa a pezzi anche il bosco. Certi miei personaggi sono così, dei cow boy maremmani. C’è chi ha vissuto alla macchia dodici-tredici anni senza perdersi una festa di paese..."

Nel libro si incontrano altre parole inusuali.

"Ho cercato di restituire una lingua povera, il maremmano vernacolare, che era innervata da una conoscenza profonda, orale, della grande poesia italiana, da Ariosto a Tasso a Dante. Una lingua di cui cerco di far emergere la bellezza, la profondità. A questa si contrappone la lingua macchinosa e patetica dei verbali, la lingua del potere".

La storia che racconta è fatta di forti contrasti.

"È una storia di contrasti fra alto e basso su almeno tre livelli: linguistico, politico, di classe".

Che tipo di romanzo è?

"Racconto una storia di cui cominciai a occuparmi più di vent’anni fa, scrivendo un racconto, Potassa. Ma ho fatto nuove ricerche e riscritto tutto. Ho abbandonato la scrittura in prima persona, perché rischia di piegare verso il vittimismo e il narcisismo. Sono uno scrittore nato nella classe operaia che racconta storie di carbonai e minatori che si raccontano ancora nei pranzi di famiglia, quando si rievocano le gesta pantagrueliche dei nostri nonni e bisnonni che si schiantavano di cazzotti e il sabato sera facevano a pezzi il mondo e regolavano i conti coi fascisti".

Nulla di inventato?

"Solo la storia dell’oste anarchico di Prata, quello che riceve la visita di un gruppo di squadristi che vorrebbe dargli una lezione. Lui offre a tutti da bere, mette i bicchieri sul bancone e versa il vino tenendo la damigiana con una sola mano. Una prova di forza che fa desistere i fascisti. Il bello è che questa storia la scrissi vent’anni fa e ora me la sono sentita raccontare come vera da vecchi minatori novantenni. La storia orale può fare brutti scherzi..."

Nel libro non c’è un protagonista principale. Perché?

"Cercavo una storia corale e volevo raccontare come il fascismo realizzò un colpo di stato diluito, partendo dalle periferie. La marcia su Roma fu solo il compimento di un processo che procedeva da tempo. Oggi va di moda raccontare Mussolini, il suo ruolo di demiurgo, ma il fascismo è stato un dispositivo storico-politico, una sorta di controrivoluzione della borghesia, che si sentiva messa alle strette. Nel piccolo, come in Maremma, i fenomeni emergono con tutta la loro forza".

Che scontro è stato?

"In Maremma i paesi dei minatori erano dei piccoli soviet. Fino a trent’anni prima era un’umanità di servi della gleba, gente che chinava la testa davanti al padrone. All’improvviso si affermò una generazione che teneva alta la testa, sfidava il potere, leggeva o si faceva leggere – gli analfabeti – la stampa socialista. Una storia incredibile. La classe borghese reagì, il fascismo è stato una forma di bonifica sociale".

Lei fa parlare molto i documenti: verbali, memoriali...

"Mi sono affidato a due narratori vicari, che sono antitetici, e che mi stanno entrambi sulle scatole. Uno è un carabiniere prono all’autorità che parla il linguaggio della burocrazia, l’altro un socialista un po’ disgustoso, forse addirittura un molestatore di bambini".

In questa storia quasi non ci sono figure davvero positive.

"Manca il personaggio eroico nel quale riconoscersi. I fascisti in questa vicenda sono orribili, ma anche gli antifascisti non sono dei santi, anche se parteggiano per la giustizia sociale. I due “eroi“ potrebbero essere Maggiori e Marchettini, che vivono per anni alla macchia, ma sono due macchine da guerra, personaggi da film western, che non possono agganciare l’emotività del lettore. È anche una scelta voluta, sono un po’ stanco di scrittura emotiva".

Un personaggio tragico c’è.

"Robusto Biancani, il figlio del ciabattino ucciso dai fascisti a Tatti. Un personaggio da tragedia greca, finito nel gorgo della storia. Viene raccontato come un serioso membro del Pci, in realtà ha avuto una vita più che movimentata. Bersagliere nella Grande guerra, al ritorno è attivissimo nel lavoro di partito fra i minatori. Quando uccidono il padre cerca vendetta. Vengono uccisi un ricco possidente amico dei fascisti e un giovane repubblicano che non c’entra nulla, dopo di che la storia del ’900 sembra travolgerlo. Fugge all’estero, va in Urss, che dovrebbe essere per lui un faro, e finisce accusato d’essere trotskista e spia del fascismo e nel ’38 viene ucciso con un colpo alla nuca in una purga stalinista. Sarà riabilitato da Kruscev e definito “un compagno sincero“".

Che resta di quella Maremma?

"Molto poco. A leggere le carte, la Maremma di cent’anni fa pareva la Odessa del 1905, in grande fermento rivoluzionario. Poi siamo passati dal latifondo all’industria, fino alla deindustrializzazione, e se mi guardo intorno vedo un territorio pressoché apolitico, che ha perso le sue memorie".