Sabato 27 Luglio 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

L’epoca d’oro dei pirati. Lotta e libertà sui mari

La graphic novel “realista“ ispirata alle ricerche dello storico Marcus Rediker. Niente uncini o bende sugli occhi, ma ribellioni collettive e navi autogestite.

L’epoca d’oro dei pirati. Lotta e  libertà sui mari

L’epoca d’oro dei pirati. Lotta e libertà sui mari

Pensi ai pirati, lo dice anche Marcus Rediker nella prefazione, e affiora l’immagine di un uomo segaligno e pittoresco, con un uncino al posto di una mano e una benda nera sopra un occhio. Troppi romanzi e troppa Hollywood hanno favoleggiato attorno alla cruenta epopea dei “banditi del mare” per sfuggire a questa regola. Una giustificazione c’è: si trattava, dopotutto, di descrivere un’epoca lontana – a cavallo fra Sei e Settecento – e luoghi e fatti davvero estremi.

Ma Rediker è uno studioso che ai pirati ha dedicato volumi storici importanti – su tutti Canaglie di tutto il mondo. L’epoca d’oro della pirateria (Elèuthera 2020) – e nella graphic novel realizzata col disegnatore David Lester si è impegnato a restare fedele a ciò che davvero sappiamo di quei rivoltosi che per qualche decennio misero in crisi la marineria internazionale e suscitarono la furiosa reazione delle potenze coloniali, finendo poi inevitabilmente sterminati.

Sotto il vessillo di Re Morte (Elèuthera 2023) è una storia, se vogliamo, violenta, perché la vicenda dei pirati è fatta di soprusi sconfinati, si incrocia con la schiavismo, e fu una disputa – da una parte i marinai in rivolta, dall’altra capitani e proprietari di navi, nonché re e capi di stato – che fu combattuta senza alcun riguardo, a filo di spada e colpi di cannone. Fu anche, però, e su questo punta Rediker nelle sue ricostruzioni storiche, una storia di emancipazione.

I marinai erano meri “braccianti“, esposti a condizioni di vita e di lavoro proibitive, coi capitani che disponevano a piacimento dei loro corpi e delle loro stesse vite. Il loro status non era troppo diverso da quello degli schiavi che spesso viaggiavano sulle loro stesse navi, attraverso l’Oceano Atlantico, come “merce” da portare a destinazione.

Il protagonista della graphic novel di Rediker e Lester non è amputato e ci vede benissimo, ma è un nero, comprato in fretta e furia in un porto per far parte della ciurma di una nave schiavista, dove soffre infinite angherie, fino alla violenta ribellione che porta i marinai, con l’aiuto di alcuni schiavi, a gettare a mare il feroce capitano.

Segue ciò che più affascina, ancora oggi, della vera pirateria degli anni d’oro (il primo trentennio del Settecento): la presa di possesso della nave nella forma dell’autogestione; il Jolly Roger – la bandiera nera con il teschio, simbolo della morte sempre incombente, propria e altrui – messa sul pennone più alto; gli ufficiali scelti con regolare elezione; la rotta da seguire e le imprese di saccheggio da compiere messe anch’esse ai voti; il bottino spartito secondo il principio d’uguaglianza; una vita quotidiana a bordo nel segno dell’abbondanza, se non della bisboccia. “Un mondo alla rovescia”, come recita il sottotilo del libro, e come riecheggia nelle parole di alcuni dei protagonisti. La pirateria, insomma, come un’anticipazione della lotta di classe e del recupero di dignità da parte degli oppressi.

Ma non c’è lieto fine in questa storia. La graphic novel – disegnata da Lester con vivacità e precisione filologica (si è basato sul modellino di un galeone settecentesco per poterlo riprodurre sulla carta da tutte le prospettive) e tecnica quasi cinematografica, con inserti e quadri dentro le tavole per dare movimento e senso dell’azione – è costellata di patiboli e di corpi di impiccati esibiti nei porti di mezzo mondo come monito per la gente di mare.

Nel 1726 l’impiccagione a Boston del pirata più famoso del tempo, William Fly, e di decine di suoi compagni, segnò la fine violenta di una stagione tanto intensa e originale, quanto breve. Breve come la vita dei marinai ribelli, che restavano a bordo all’incirca un paio d’anni, prima d’essere uccisi o di dover lasciare, sconfitti e feriti, la propria ciurma. Del resto il motto stesso dei pirati non permetteva di coltivare illusioni: “Vita felice e corta”.