Giovedì 9 Maggio 2024
MASSIMO CUTÒ
Magazine

Flaiano a teatro dormiva. Ma scopriva talenti

Lino Guanciale porta sulla scena un monologo ispirato al grande autore. Diceva: "Fra sonno e veglia il dialogo si libera di ogni scoria".

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di Massimo Cutò

Ma si può dormire assistendo a uno spettacolo? Si può, anzi si deve. C’è una spiegazione: "Chiunque si sia appisolato a teatro o durante un concerto, sa bene che è nel passaggio dalla veglia al sonno che la rappresentazione o la melodia o il dialogo si liberano da ogni scoria". Lo dice Ennio Flaiano e tanto basta. I più giovani sanno chi era? Meglio ribadirlo. Maestro discreto del nostro Novecento, ha fatto della contaminazione la propria cifra saltellando dal giornalismo ai romanzi (Tempo di uccidere, primo premio Strega nel ‘47), i racconti, gli epigrammi, gli aforismi. Ha scritto sceneggiature che hanno illuminato il cinema italiano: da La dolce vita a Otto e mezzo, da I vitelloni a La strada. Passando dalla collaborazione con Fellini a quelle con Blasetti, Monicelli, Rossellini, Risi, Antonioni, Germi...

Senza dimenticare il drammaturgo acuto e fin troppo raffinato – da qui, probabilmente, il poco successo dei suoi testi. Flaiano fu anche uno straordinario animale da platea. Gli articoli apparsi fra il ‘39 e il ‘41 su Oggi, la rivista di Benedetti e Pannunzio, e poi dal ‘63 al ‘67 su L’Europeo, sono il manuale del perfetto recensore. Nato a Pescara nel 1910 e legato indissolubilmente a Roma, conosceva una per una le poltrone dei teatri capitolini riservate al critico. E lì sedeva, vedeva, raccontava.

Da quelle serate uscirono pezzi memorabili, oggi riportati a galla da Lino Guanciale. Un abruzzese di Avezzano, volto noto delle fiction tv e del cinema, ma soprattutto innamorato del teatro. Da qui a portare in scena un monologo intitolato Non svegliate lo spettatore – mercoledì 2 settembre all’Auditorium di Roma, musica e regia di Davide Cavuti – il passo è breve.

Lo spettacolo, costruito nei giorni del lockdown, è una passeggiata nell’universo Flaiano. Ovvero, un marziano a Roma. Perché un marziano? Lo spiega lui stesso, chiamato a dimostrare per assurdo, in un’intervista, la propria italianità.

Ecco le risposte: non sono fascista, non sono democristiano, non sono comunista. Ancora: non parlo il mio dialetto, non adoro la città dove sono nato. A seguire: preferisco l’incerto al certo, sono per natura dimissionario, detesto il paternalismo e le dittature. Per soprammercato: il calcio non mi entusiasma, lo sopporterei se in campo i giocatori fossero ventimila e il pubblico ventidue persone. E poi: pago le contravvenzioni. Dunque: tuttavia che io sia italiano potrebbe essere innegabile, infatti mi piace dormire, evitare le noie, lavorare poco, scherzare. E per finire: bene, se non fossi italiano a questo punto non saprei proprio che farci, probabilmente non sarei niente e questo dimostra in fondo che sono proprio italiano.

È il Flaiano fuori dal coro, dalle convenzioni, dagli stereotipi. Annoiato da quel che è scontato e ripetitivo. Specialmente dagli spettacoli senza sale: Vado a teatro e non mi ritrovo perché sono escluso dalla storia la vanità mi conforta a dormire. Quelli sul palcoscenico lasciamoli dire.

Se qualcosa non gli piace, lo scrive senza mezzi termini e con argomenti impeccabili. A costo di bocciare i mostri sacri. Giulietta e Romeo del ‘65, regia di Franco Zeffirelli: "È probabile che sotto il nome di Shakespeare si celasse un autore italiano di scuola realistica, Scuotipera o Scrollapera, o Scespirelli". Vita di Galileo di Brecht, firmato Giorgio Strehler: "Buazzelli fa di Galileo uomo una creazione amabilissima, che aiuta a ingannare la lunghezza del viaggio".

Ma lo spettatore addormentato, che in realtà tiene gli occhi ben aperti, salta sulla sedia di una cantina davanti alla Salomè di Carmelo Bene nel ‘64. Definisce il genio salentino "un regista con i piedi fermamente poggiati sulle nuvole", annotando: "Lo spettacolo non lascia indifferenti, ci ha persino svegliati". E usa la sciabola contro i critici che lo attaccano per quei giudizi lusinghieri: "Imbecilli da ristorante mi definiscono intellettuale da caffè, non sapendo che le più belle serate le ho passate proprio al caffè con persone la cui amicizia era già un giudizio: Cardarelli, Barilli, Longanesi". Miele e stilettate, la scena come specchio della società e del costume. In un’Italia sempre in bilico tra farsa e tragedia. "Perché il teatro non è molto popolare in Italia? Forse perché gli italiani sono tutti ottimi commediografi". Applausi, sipario.

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