Sabato 27 Luglio 2024
ANDREA MARTINI
Magazine

Dopo la morte, metti l’anima in un altro corpo

Alla Berlinale il primo film italiano, “Another End“ di Piero Messina. Un vedovo inconsolabile e una tecnologia che fa rivivere la coscienza

Dopo la morte, metti l’anima in un altro corpo

Dopo la morte, metti l’anima in un altro corpo

Al suo secondo lungometraggio (L’attesa, il primo, fu la sorpresa della Mostra di Venezia del 2015) Piero Messina, uno dei pochi registi italiani la cui fama è inferiore al merito, ha avuto la fortuna di poter schierare per Another End un cast di grande richiamo: "Volevo interpreti che potessero arrecare qualcosa in più rispetto al testo, che con la loro personalità mi aiutassero a tenermi lontano dal genere; appena ho ascoltato i dialoghi dalla loro voce è stato come se si fosse parte una finestra e il vento avesse scompigliato le mie idee riuscendo però miracolosamente a dare un nuovo ordine".

Attori duttili e sensibili Gael García Bernal e Bérénice Bejo lo sono da tempo; Renate Reinsve, già migliore interprete di Cannes ’21 per La peggiore persona del mondo, ha portato in dote un guizzo di credibilità all’assurda vicenda di A Different Man (del sopravvalutato Aaron Schimberg), uno dei primi film del Concorso del Festival di Berlino che si è aperto giovedì. In Another End – il primo dei due film italiani selezionati alla Berlinale, passato in gara ieri – Messina, nato a Caltagirone 42 anni fa, scherza col fuoco. La malinconia per la perdita della donna amata, ancor giovane, è la più profonda e la più romantica. Basta pensare alla pittura, alla letteratura per non parlare dei miti che, a partire da Orfeo e Euridice, ci dicono come la rassegnazione sia innaturale e il tentativo di tornare indietro un desiderio insopprimibile. Fare rivivere la persona amata ha nutrito fantascienza e cinema a partire dal secolo scorso. Sia nella chiave dell’utopia che in quella della distopia.

Messina si tiene lontano dal genere; certo nella sua città ideale ci sono laboratori dove si fanno esperimenti ma è più questione di flussi di coscienza che di macchine. Più di corpi che si sovrappongono alla medesima anima che di replicanti, più metempsicosi che intelligenza artificiale. Il giovane Sal (Bernal) si dispera, da quando ha perduto la giovane moglie Zoe (Reinsve) in un incidente di cui si sente responsabile: vive di ricordi e se s’annebbiano non esita a cercare ogni espediente per ravvivarli. Il dolore alimenta il desiderio del passato che non si ricompone perché i ricordi sono solo schegge di un vetro infranto. Sua sorella (Bejo) preoccupata della sua salute gli propone di affidarsi ad Another End, una nuova tecnologia a cui lei stessa lavora e con la quale è possibile, per breve tempo, trattenere viva la coscienza di chi se n’è andato seppure in un altro corpo. Sal potrà ritrovare la sua Zoe, ma nel corpo di un’altra donna. Se la vera scriveva romanzi la seconda lavora in un locale di lap dance. Anche se solo le somiglia sarà la volontà di Sal a trasformarla nel doppio dell’originale. Ma se è straziante separarsi dalla vera persona amata ci si potrà separare dalla persona che la nostra mente forgia?

Rappresentare la malinconia della perdita è l’ambiziosa scommessa del regista che al tema dedica una prova d’autore, seppur con qualche eccesso, riuscita. Piero Messina è capace di suggerire atmosfere inusuali: usa la metropoli senza rifare il cinema corrente, adatta la luce al velo che ricopre l’anima del protagonista, sostiene con lunghe inquadrature l’intermittenza del suo dolore, con protratti silenzi il suo smarrimento, e finisce per ricordare, senza probabilmente saperlo, le situazioni sospese del cinema di Atom Egoyan (redivivo con un film presentato alla Berlinale), un autore che con i corpi e le menti ha giocato a lungo.

Another End ci ricorda che una persona non è solo corpo ma un insieme di elementi che il corpo simbolizza. Eppure, come accade per Sal è il corpo la memoria della persona scomparsa. Ce l’hanno detto gli egizi con le loro mummie e più recentemente la fotografia. Il cinema ci ha giocate tante volte: dal memorabile hitchcockiano La donna che visse due volte al recente La bête di Betrand Bonello visto a Venezia e presto sugli schermi italiani. Sarà un caso che oramai nelle nostre società sia sempre più spesso dichiarato il desiderio, pur comprensibile, di stabilire modalità e date dei nostri decessi?