Giovedì 16 Maggio 2024
ARISTIDE MALNATI
Magazine

Arte, fede e Islam: la “nuova“ Santa Sofia

In visita alla Basilica di Istanbul, dal 2020 ufficialmente moschea. Il fervore religioso e la ritrovata bellezza grazie al restauro dei mosaici

Arte, fede e Islam: la “nuova“ Santa Sofia

Arte, fede e Islam: la “nuova“ Santa Sofia

Un simbolo – un simbolo innanzitutto religioso, segnato da millenarie controversie tra fedi differenti – torna a rivivere. La Basilica di Santa Sofia, che svetta nel cuore storico di Istanbul tra monumenti di pregiata fattura, si sta rinnovando e torna a mostrare tutta la sua bellezza artistica grazie al costante restauro (oggi in fase di ultimazione) dei preziosi mosaici bizantini rilucenti d’oro. Quella della conservazione è una prassi obbligata per un popolo, come quello turco, legato al proprio patrimonio; ma nella fattispecie è anche una sorta di riparazione da parte di un governo a volte un po’ troppo incline a strizzare l’occhio a un certo integralismo: è stata infatti per decisione irrevocabile di Recep Erdogan, dal 28 agosto 2014 presidente della Repubblica turca, che la Basilica cristiana è di nuovo diventata, nel 2020, moschea islamica. E l’effetto di tale virata improvvisa lo si nota quando si varca l’ingresso, pagando 25 euro (sì perché al cambio di religione si è aggiunto il pagamento per i visitatori di un ticket d’accesso di tutto rispetto, considerando il costo della vita in Turchia): una presenza considerevole di fedeli nell’ampio spazio al piano terra, sollecitati dal muezzin tramite altoparlanti alla preghiera, nel rispetto dei cinque momenti quotidiani in cui la religione della mezzaluna invita i propri fedeli a recitare il Corano o ad ascoltare le prediche dell’imam.

A simili manifestazioni di un fervore religioso in forte crescita (soprattutto nel corso del mese del Ramadan) i “profani” turisti possono assistere solo dall’alto, lungo un camminamento che incornicia a diverse decine di metri di altezza la volta di quella che pur sempre rimane una basilica cristiana. Ed è proprio qui che si trovano le bellissime raffigurazioni musive, fatte realizzare a partire dal VI secolo dai più illustri Imperatori bizantini.

Da segnalare, stupenda, una rappresentazione di “Déesis” (il bisogno di Dio da parte dell’uomo) del XII secolo con Cristo tra la Vergine San Giovanni Battista, nella galleria meridionale lungo la volta dell’edificio. Ma da ammirare, soprattutto, la “Maestà di Cristo”, sopra i timpani del portone principale, ingresso riservato agli Imperatori di Bisanzio a cui in questo modo veniva ricordata l’origine divina della loro investitura e la loro “missio” nella gestione del potere.

A completare il quadro, sempre nella parte superiore, volutamente imponenti per essere visibili anche dal basso, vanno ricordati due splendidi mosaici: nel primo la figura di Nostro Signore svetta e protegge l’Imperatrice Zoe Porfirogenita (sul trono dal 1028 al 1050) e il suo terzo marito Costantino IX Monomaco, a Lui subordinati già visivamente nell’immagine. Il secondo, poco distante, è altrettanto esplicito: in esso figurano la Vergine, Giovanni II Comneno (Imperatore dal 1118 al 1143), la consorte Piroska d’Ungheria (che cambiò nome in Irene) e il loro figlio Alessio: una rappresentazione della protezione dall’Alto della famiglia imperiale e una consacrazione per Irene al ruolo derivato dalle nozze, mettendo a tacere chi a corte le rinfacciava origini in un popolo a volte nemico.

Si comunicava con le immagini, ed era comunicazione efficace tra politica e religione; sistema però non gradito agli Ottomani musulmani, che nel 1453 conquistarono Costantinopoli, ferendone i simboli e i riferimenti al Cristianesimo. I nuovi signori, in nome dell’iconoclastia islamica, cercarono di cancellare i mosaici e gli affreschi con immagini di Santi o addirittura di Dio, presenti nelle numerose chiese e, ovviamente, a Santa Sofia, che divenne per la prima volta moschea e lo rimase fino sotto Ataturk (nel 1931 fu sconsacrata e nel 1935 trasformata in un più neutrale museo).

Una “damnatio memoriae” che per fortuna non fu sistematica: molto si salvò, splendide opere d’arte che oggi tornano a illuminare chiunque varchi la soglia di questo straordinario e tormentato luogo di culto.

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