«Splende il sole sui nostri vigneti. Crescono tutti, non soltanto i big»
«Una situazione brillante, con un 2021 chiuso in grande spolvero». C’è un bel sole sul Vigneto Toscana, che si presenta come al solito in grandi forze all’appuntamento con Vinitaly, dove occuperà lo spazio più vasto – l’intero padiglione 9 più l’annesso stand D, oltre alle numerose presenze di singole aziende sparse per le altre strutture – dopo ovviamente i padroni di casa del Veneto. Una corazzata carica di ottimismo: così l’annunciano le parole di Francesco Mazzei, produttore rampollo di una dinastia secolare ma anche presidente di Avito, il consorzio dei 22 Consorzi Dop e Igp, oltre il 90 per cento della produzione regionale con 350 milioni di bottiglie e quasi 2 miliardi di fatturato. C’è la forza dei numeri, dietro le parole. Sessantamila ettari ammantati di viti e coltivati da 12.700 aziende, con una superficie media di 4,7 ettari ciascuna: insomma, piccolo è bello – però non mancano sul territorio colossi come Antinori, Frescobaldi, Banfi e Ruffino – soprattutto in termini di biodiversità e di identità. Già, perché tra le altre cose il 32% di quegli ettari sono ormai riconvertiti a biologico, con una crescita del 217 per cento in dieci anni e una capacità produttiva di 350mila ettolitri (il 15% del vino bi di tutta Italia) sui 2,047 milioni risultati dalla vendemmia 2021: una flessione del 7%, maggiore rispetto alla media nazionale, a causa delle gelate primaverili e delle scarse piogge in estate. «Dato che tuttavia – commenta ancora Mazzei – non inficia la performance nell’export, che è cresciuto in un anno del 16,4 per cento, più del resto d’Italia: siamo terzi, ma ce la battiamo con il Piemonte per il secondo posto, e abbiamo recuperato del tutto il gap del dopo 2019». Non a caso, del resto, la Toscana è la regione vinicola più conosciuta dal pubblico americano: è la qualità che nasce da ben 58 denominazioni, di cui 11 docg, 41 doc e 6 igt, e da un vitigno, il ‘re’ Sangiovese, che copre il 60 per cento degli ettari di vigna a rosso, con le denominazioni Chianti docg e Chianti Classico che da sole mettono insieme il 52% di un vigneto nettamente dominato dalle uve a bacca nera, il 93% dei terreni che danno Docg e Doc e il 75% delle aree a Igt, che rappresentano comunque 12.500 ettari per 90 milioni di bottiglie. «La tendenza generale – nota Mazzei – è dunque positiva anche se non tutta la regione viaggia alla stessa velocità dei big. Però si osservano prestazioni importanti, in termini di numeri e di qualità, di tante realtà più piccole come per esempio il Valdarno di Sopra, il Montecucco, l’Orcia, Carmignano e Rufina, in genere la cosiddetta «Altra Toscana» che suscita grande interesse se non addirittura entusiasmo. E se poi vogliamo identificare la tipologia più performante, sicuramente parliamo di un bianco, il Vermentino, soprattutto in Maremma». Certo, i problemi non mancano, Mazzei è il primo ad ammetterlo. Problemi legati soprattutto al quadro politico-economico mondiale, «alla guerra – spiega – non però in termini di mercato perché la Russia non è tra le prime dieci piazze per il vino toscano, ma agli incrementi sconsiderati dei costi, che ci fanno temere meccanismi speculativi: vetro, carta e cartone hanno subito di colpo aumenti del 10-15%, poi ci sono grosse difficoltà nel reperire materiali, e c’è la crescita dei costi del trasporto». Problemi che si scontano nella riduzione dei margini di reddito, soprattutto con la grande distribuzione i cui tempi di contrattazione non consentono di ribaltare subito gli aumenti sui prezzi di vendita». Ma all’estero (74% di prodotto) il prezzo sale, e la cartolina non sbiadisce.