Gusto, il cibo dell'anima

di PAOLO GALLIANI -
4 aprile 2022
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Ci sono cose che diventano inossidabili. Di sicuro, la pazienza del cliente affezionato che vorrebbe prenotare un buon pranzo o una cena ma si sente rispondere “Ci scusi, ma oggi non abbiamo un posto libero”. Ma inossidabile è anche il ricordo del grande Gualtiero Marchesi che frequentava assiduamente questa deliziosa palazzina liberty perché – ripeteva – quella era la sua osteria preferita. Come dire: il tempo passa e regala rughe fisiche e mentali a tutto e a tutti. Non qui, a Palazzolo sull’Oglio, nel Bresciano, dove pare che la caducità riesca a fare molti danni. E non solo per il prestigio che ‘La Villetta’ si è guadagnato come luogo del cibo e dell’anima sulle guide gastronomiche e perfino sul prestigioso magazine britannico Monocle che, anni fa, l’aveva inserita tra i migliori ‘10 luoghi di charme’ al mondo. In fondo, i più inossidabili sono proprio loro, i padroni di casa, Maurizio Rossi, signore dell’accoglienza e la moglie Grazia Omodei, talento naturale e autodidatta pura, perché quella di creare piatti è un’arte che si può apprendere anche senza avere maestri: contano la tenacia, l’umiltà di trattare gli ingredienti come fossero creature e la saggezza di presentare agli ospiti pietanze che non devono stupire o finire su Instagram, ma essere buone e – come dice lei – “fare stare bene”. Del resto, era stato il bisnonno Giacomo a dare l’imprinting, quando nel 1900 aveva avviato l’attività a ridosso della piccola stazione di Palazzolo, attività poi onorata da nonno Luigi, da papà Giovanni e adesso da Maurizio, quarta generazione in attesa che il testimone passi, un giorno, al figlio Jacopo, laureato in scienze gastronomiche a Pollenzo e impegnato a fare esperienza tra Torino, Parigi e Berlino. Si sente la Franciacorta che è a un passo, terra di bollicine pregiate. E diamine se la si sente nel calice dove il padrone di casa ha appena versato dell’ottimo ‘Saline’, un pas dosé da Pinot Nero annata 2013, sentori di miele e piccoli frutti di bosco, che Maurizio e Grazia producono nella vigna di un solo ettaro ad Adro, allestita a fianco di un orto che chiamano “del Terzo Paradiso”, ispirato alla visione di un cliente assiduo e amico come il patriarca dell’arte povera Michelangelo Pistoletto. Tant’è. Il profumo del brodo di guanciale pervade i locali tra bancone, lavagnetta, tavoli e sedie in legno, quadri d’autore, vecchie foto, tavoli e sedie in legno, e una cucina della memoria che sembra attraversare il tempo senza subirlo: la trippa e un vitello tonnato da premio, il bollito misto, la lasagna al ragù, le polpette, gli involtini di verza ripieni di carne che i bresciani chiamano ‘Capù’ e i bergamaschi ‘Nösecc’ e l’impeccabile cotechino. Grazia racconta del suo gelato, fatto con l’Halva, pasta di semi di sesamo che arriva dal Maghreb e paradigma della sua passione per la contaminazione culturale. E Maurizio torna sul suo “non dosato”, prodotto solo in 5mila bottiglie grazie alla consulenza della cantina Ferghettina: vino prezioso e di struttura, senza forzatura di zuccheri, perfetto per accompagnare gli stessi piatti chiesti regolarmente da Marchesi che dell’Osteria La Villetta elogiava “la semplicità che diventa capolavoro”. Lo sostenne anche Alain Ducasse, francese da podio mondiale dell’alta cucina, che dopo avere cenato esclamò “Quelle merveille, la simplicité de vôtre cuisine!”. Roba da scatenare la vanità. Macché. Grazia insiste: “Non sono una cuoca: sono solo un donna che cucina”, spalleggiata da Maurizio che ricorda una pillola di saggezza di sua mamma Lina: “Un piatto di buona cera non costa niente: è la prima cosa da offrire agli avventori”, dove, ovviamente, “cera” sta per “cortesia” e “sorriso”. Diamine se aveva ragione. Lo ripeteva sempre Marchesi in veste di viandante goloso che regolarmente sceglieva tra la peperonata, la trippa, il bollito e il pesce di lago in saor. Quando se ne andava, esclamava “Voi non siete degli chef: siete degli osti”. E nessuno aveva dubbi: era un meraviglioso complimento.