In giro con Gianmarco Tognazzi: "Non scherziamo, il vino è davvero una cosa seria"

di ENRICO SALVADORI -
4 aprile 2022
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Lui è cresciuto più nelle vigne e negli uliveti che sui set cinematografici anche se il piccolo e il grande schermo sono la sua vita professionale. Ma per Gianmarco Tognazzi il vino è una cosa seria. Molto seria. È molto più che ricordare degnamente papà Ugo che era un visionario, amante della natura e delle genuinità. Tutti valori che ha trasmesso al figlio che è alla guida della Tognazza (in quel di Velletri) e ha il vino che scorre nelle vene. “Sono molto eno e meno logico” ci scherza su Gianmarco che come il padre ha sempre la battuta pronta. Chi meglio di lui può essere testimonial del fatto che il vino sia portatore sano di emozioni. Nell’apprezzarlo sorseggiando un calice ma anche produrlo. Come nasce la svolta naturalistica di Gianmarco Tognazzi e come si è avvicinato al vino? “A 18 anni sono fuggito dalla campagna per andare in città. C’era lo slancio comprensibile degli anni dei grandi progetti e dei sogni che si fanno a quell’età. Poi, dopo altri 18 anni, sono fuggito dalla città per tornare in campagna. Ho ripreso in mano la tenuta e ho pensato a un progetto che trasformasse ciò che era riservato a me stesso e agli amici che venivano a casa, in qualcosa che potesse arrivare anche ad altri amici e al pubblico più vasto che seguiva mio padre”. E così quella che fino a quel momento era stata una semplice tenuta, è diventata, giorno dopo giorno, una cantina e una vera azienda agricola, con un team di una decina di persone. “Noi facciamo le cose seriamente ma senza perdere il gusto di prenderci in giro. Come faceva papà che era avanti nei suoi ragionamenti e nel suo stile di vita. Già nel 1969 diceva che bisognava puntare sui prodotti a km 0 e su una materia prima di qualità. La produzione oltre al vino riguardava olio, uova e pollame. Papà produceva un vino rosso frizzante che chiamavamo lo schiumante perché metà bottiglia andava sempre fuori quando lo stappavamo. A quell’epoca non c’era ancora una sensibilità verso il biologico e l’ecosostenibile, eppure lui aveva capito tutto. Così dopo essere andato via da questo mondo nel 2005-2006 ci sono tornato. Nella tenuta tra Velletri e Lanuvio, c’è tutta la mia vita. Anche se papà era da tempo che non c’era più ho pensato che dovevo fare qualcosa di importante per non disperdere quei valori e quegli insegnamenti che mi ha dato lui”. Ma il progetto de La Tognazza, questa idea così bella e impegnativa, non è solo un’operazione-nostalgia. “Assolutamente no e mi sono trovato d’accordo con quello che mi ha detto mia madre che è stata molto chiara: ‘Fai una cosa bella ma devi evitare la percezione che sia soltanto un omaggio a papà. Lui infatti è sempre stato un tipo che ha guardato avanti e non indietro’. Era quello che pensavo io e, confortato da questa analisi, ho voluto realizzare un progetto che fosse una filosofia di vita ma anche un’operazione che valorizzasse un brand di vini di qualità”. E qui però siamo a una delle vostre caratteristiche vi differenziano dagli altri. “Io e tutti i miei collaboratori rispettiamo profondamente un mondo dove si privilegia tutto ciò che è tecnico. Ma il nostro è un modo diverso di approcciarsi al vino che deve raccontare delle storie, deve avere una soggettività che lo caratterizza. Una bottiglia non può essere esattamente uguale all’altra. A me non interessa produrre l’ennesimo Velletri superiore o l’ennesimo Lazio Igp. Per me il vino è una bevanda nobile che deve essere interpretata e che deve avere una sua anima, altrimenti tutti facciamo la stessa cosa. Al bando ogni tipo di omologazione. Nel territorio libero di Tognazza non esistono gerarchie e non esistono leggi che regolano la vita degli abitanti. Ognuno è libero di fare un po’ come crede. Alla Tognazza non esistono frontiere e quindi non esistono ‘stranieri’: tutti sono sempre ben accetti senza tener conto di orientamenti politici, religiosi, sessuali e senza alcuna disparità di genere e di razza”. E in questo senso è arrivata la scelta di etichette con nomi fuori dagli schemi. “La comunicazione anche nel mondo del vino è profondamente cambiata come in tutti i settori. La scelta di dare ai vini il nome di tormentoni di Amici Miei o di altri riferimenti espliciti a mio papà all’inizio venne vista come un gesto dissacrante: Tapioco (Trebbiano, Malviasia, Bellone e una punta di Chardonnay), Antani (un Merlot e un Syrah), Conte Mascetti (Sangiovese, Merlot, Syrah), Come se fosse (Merlot, Sangiovese) non sono solo omaggi scanzonati e la voglia di zingarate anche se mio padre, Monicelli, De Bernardi hanno inventati quei termini diventati di successo sorseggiando proprio quel vino che noi produciamo. La nostra è una professionalità vera, fatta di attenzione a tutte le tecniche di produzione, alla estrema qualità del prodotto ma fuori da quegli schemi paludati che sono una caratteristica non solo del mondo del vino. All’inizio chi lavora nel mondo del vivo capiva poco la nostra scelta, ora ci sono quaranta etichette che richiamano le nostre, segno evidente che avevamo ragione. La nostra tenuta la considero un territorio di libertà perché mio padre Ugo era davvero un uomo libero e noi vogliamo portare avanti questo schema fuori da ogni conformismo”. Localizzata inizialmente solo nel Lazio la produzione dei vini de La Tognazza si è spostata anche in Toscana, terra feconda per eccellenza in questo campo, soprattutto per i vini rossi. “Una divisione esclusivamente territoriale per la produzione è un tema che ci appartiene e non ci piace. Quella della contaminazione tra territori invece è un argomento che ci sta a cuore. Conierei dei termini un po’ strani per far capire quello che dico: noi siamo per Toscazio (Toscana-Lazio) e per il Pieneto (Piemonte-Veneto). Significa sperimentare, scoprire percorsi nuovi e intriganti che significano gusti e aromi piacevoli. Nel caso della scelta della Toscana poi c’è il legame di grande affetto che ha sempre unito in modo viscerale mio papà a questi territori. I vitigni del Lazio con quelli della Toscana si sposano in modo molto significativo”. Ma è un vino che fa conoscere un territorio o succede il contrario? “Bella domanda. È un beneficio sinergico per entrambi perché le qualità dei due soggetti si fonde in un risultato che spesso è eccellente. È certo che il vino ha rappresentato spesso una promozione per territori che fino a quel momento non erano conosciutissimi. Questa considerazione vale per Bolgheri e non solo”. Il vostro progetto de La Tognazza è molto apprezzato sia in Italia che all’estero e soprattutto fuori dei nostri confini non è sicuramente facile affermarsi. “È proprio così e questi risultati ci rendono particolarmente orgogliosi. Evidenziano la bontà del nostro lavoro. Sappiamo bene quanto gli stranieri siano molti affezionati al vino italiano classico, quello che ha fatto la storia nel mondo. Per noi sarebbe stato molto più comodo cavalcare l’onda e proporre sul mercato stranieri prodotti classici. Ma abbiamo sperimentato che se la novità è qualitativamente valida anche in un mondo tradizionalista come quello del vino la risposta positiva arriva. E i risultati sono lì a testimoniarlo”. Quanto è difficile per un attore molto apprezzato come Gianmarco Tognazzi coniugare la sua attività nel mondo del cinema e dello spettacolo con quella commerciale nel settore vinicolo ? “Non è facile ma la differenza la fa l’entusiasmo con il quale fai le cose e la passione che ci metti. Sono mondi diversi e devi staccare la testa da quello che fai per connetterti su altre frequenze, in un altro mondo. Ma io sono una persona che crede molto in quello che fa e che se decide di gettarsi nella mischia lo fa nel modo migliore. Nel caso dell’azienda con la collaborazione di uno staff qualificato. Ora sono in uscita tre miei film però riesco a seguire con attenzione anche tutte le dinamiche legate all’azienda"