di Marta
Ottaviani
La guerra in Medio Oriente si avvia verso il suo terzo mese fra combattimenti, stragi di civili e tentativi di mediazione. Non solo non si è ancora arrivati a una tregua permanente fra Israele e Hamas. A preoccupare la comunità internazionale sono i toni fra Israele e Iran che si stanno alzando, anche se secondo l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari internazionali (Iai), non ci dovrebbe essere una escalation militare diretta. Sta di fatto che, ancora ieri, fra Gerusalemme e Teheran sono volate parole grosse.
A iniziare è stato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Il premier, negli ultimi giorni, ha pubblicato interventi su diversi giornali internazionali in cui ha definito l’organizzazione terroristica Hamas, autrice del massacro del 7 ottobre scorso, "importante emissario dell’Iran" e come tale da eliminare. La reazione di Teheran non si è fatta attendere. L’ambasciatore di Teheran alle Nazioni Unite, Saeed Iravani, ha scritto al segretatio generale Antonio Guterres: "L’Iran si riserva il diritto legittimo di rispondere con decisione" a Israele per l’uccisione del generale delle Guardie della Rivoluzione Seyyed Razi Mousavi, in Siria. E Ramadan Sharif, portavoce dei guardiani della rivoluzione iraniana (Pasdaran), ha affermato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, nel quale sono morte più di 1.300 persone in territorio israeliano, è stata una delle rappresaglie per l’uccisione nel gennaio del 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani, a capo della Brigata Qods degli stessi Pasdaran. Una escalation che non accenna ad attenuarsi, anche se potrebbe rimanere limitata solo alla sfera verbale.
"È chiaro che la risposta non può che essere molto bellicosa – ha spiegato l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali –. Ma nell’immediato non mi aspetto una reazione pesante. Spero di non sbagliare ma non credo ci sarà un intervento dell’Iran diretto nel conflitto in corso. Probabilmente, invece, continueranno gli attacchi missilistici attraverso Hezbollah e le manovre degli Houthi contro le navi israeliane o destinate ai porti israeliani. Le manovre via proxy andranno avanti, ma tutto sommato mi sembra che fino a questo momento l’Iran si sia comportato in modo sostanzialmente abbastanza responsabile, al netto della retorica tipica di quel regime".
Le parole dei Pasdaran sono state prese male anche da Hamas. L’organizzazione ha rivendicato la paternità dell’attacco del 7 ottobre sostenendo che la motivazione principale della sua attuazione è stata la minaccia alla moschea di Al-Aqsa. Non potevano poi mancare le ormai consuete invettive del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato Netanyahu di "comportarsi come Hitler" e l’altrettanto prevedibile risposta del premier israeliano, che ha detto, per l’ennesima volta, di non prendere lezioni da lui.
Anche senza una guerra diretta con l’Iran, Israele è sotto attacco costante da nord da parte di Hezbollah. L’allarme arriva da Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, che fa parte del gabinetto di guerra. "La situazione al nostro confine nord richiede un cambiamento. Il tempo per una soluzione di carattere politico sta per esaurirsi. Se il mondo e il governo libanese non agiranno per far cessare gli spari contro le nostre località nel nord e non obbligheranno gli Hezbollah ad allontanarsi dal confine, le nostre forze armate provvederanno". Una situazione sempre più difficile per il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che visiterà la regione la settimana prossima, in cerca di una mediazione.