Roma, 10 settembre 2024 – La preparazione di rapporti tematici all’interno del sistema istituzionale europeo data da molti anni addietro. Non si contano i rapporti, gli studi, le relazioni che hanno costellato la storia dell’integrazione europea. Spesso libri dei sogni lasciati a dormire all’interno dei cassetti delle cancellerie, ma alcune volte documenti che hanno dato il passo all’evoluzione successiva della Comunità/Unione. Il rapporto sulla competitività preparato da Mario Draghi è sicuramente un documento che appartiene alla seconda categoria, destinato a piantare paletti precisi. Il rapporto è un serrato confronto sulle riforme necessarie, aprendo anche delle porte che finora sono state ermeticamente chiuse. In altre parole, Draghi alcuni problemi li affronta di petto, per altri invece adotta una sorta di tattica, li prende alle spalle, laddove nessuno si aspetterebbe un intervento.
I sei capitoli si aprono con un’analisi della nuova situazione geopolitica in cui il continente si trova: l’interdipendenza delle maggiori economie si sta incrinando, mettendo in evidenza un incremento delle misure protezionistiche nel campo del commercio e portando a tendenze autarchiche non più nazionali, bensì per blocchi continentali. In questo scenario l’Unione europea si muove con le maggiori difficoltà, a causa della mancanza di coordinamento tra diverse iniziative nazionali.
Agli europei manca la collaborazione per le politiche industriali, le politiche finanziarie e di bilancio e degli investimenti e il coordinamento della politica generale (cioè la politica estera). In più l’Unione sconta il problema dell’innovazione e del ritardo rispetto agli Stati Uniti nel campo di produttività e ricerca (bassi investimenti nel settore strategico "R&D", ricerca e sviluppo). L’Europa è inoltre dipendente in campo energetico da attori esterni e la necessaria decarbonizzazione non deve mettere a rischio l’aumento della competitività. Inoltre Draghi affronta il problema della sicurezza e della difesa europee e indica le riforme necessarie per rafforzare la governance dell’Unione.
La parte che più si discosta dal tono consueto dei rapporti presentati in passato, è quella sulla difesa, una necessità cogente legata al mantenimento della indipendenza europea: "L’Europa deve reagire a un mondo con una situazione geopolitica meno stabile, dove le dipendenze stanno diventando vulnerabilità ed essa non può più dipendere da altri per la sua sicurezza". Ecco preso alle spalle il problema della difesa europea: non più un tema di integrazione politica futuribile bensì di indipendenza strategica del sistema europeo, legato al coordinamento delle industrie degli armamenti e al superamento dello storico nazionalismo industriale nel campo della difesa. Un richiamo alla responsabilità globale dell’Unione ma anche un implicito ridimensionamento della Nato.