Ottaviani
Il presidente russo, Vladimir Putin, dopo il tour diplomatico della settimana scorsa e l’annuncio che correrà per le elezioni del prossimo marzo, è pienamente intenzionato a riprendersi la scena internazionale e per farlo ha iniziato dal capitolo più spinoso in questo momento sul fronte internazionale: il conflitto fra Israele e Hamas. Un tema dove la Russia ha preso una posizione per certi versi inaspettata, ma dal punto di vista pragmatico molto più redditizia di quella che il governo di Gerusalemme si sarebbe aspettato. Sta di fatto che ieri il presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, ha parlato con il numero uno del Cremlino al telefono per quasi un’ora e, nonostante le sue lamentele sull’appoggio della Russia all’organizzazione terroristica Hamas e sull’atteggiamento dei funzionari di Mosca in sede Onu, ha ottenuto quello che a carte potremmo definire un due di picche. Putin pur ribadendo la condanna degli attacchi terroristici del 7 ottobre contro Israele, ha chiesto che a pagare non siano i civili palestinesi e quindi ha esortato Israele a fermare "il massacro in atto". Netanyahu, dal canto suo, ha definito "pericoloso l’asse tra Mosca e l’Iran". La strategia del presidente russo è fin troppo chiara. Mosca deve riprendere peso a livello internazionale, non importa con chi si debba schierare. Per questo, durante la telefonata con Netanyahu, ha parlato, a sorpresa, della necessità di creare uno stato palestinese indipendente che coesista in pace con Israele.
I rapporti con Tel Aviv erano tesi da tempo e sono peggiorati con la guerra in Ucraina, quando migliaia di ebrei si sono avvalsi della legge del ritorno, che permettere loro di prendere il passaporto dello stato ebraico. Un po’ perché preoccupati dalla deriva del presidente russo, un po’ perché temevano di essere arruolati in quella che in Russia continuano a chiamare una ‘operazione militare speciale’. Su 10 milioni di popolazione, almeno 2 milioni sono russi. Motivo per il quale Netanyahu era convinto di poter esercitare, almeno fino a un certo punto, un condizionamento sul leader russo.
Ma Putin non si fa condizionare da nessuno, soprattutto ora che deve necessariamente riposizionarsi per riacquistare prestigio internazionale e soprattutto riconquistare terreno nella guerra in Ucraina, anche in vista dell’appuntamento elettorale del prossimo 17 marzo. E, pur di vincere questa battaglia e causare problemi al nemico di sempre, ossia gli Stati Uniti, ormai sembra di avere accettato di buon grado l’appartenenza a quella cordata di Paesi autoritari a composizione variabile, che però fa capo alla Cina.
In questo contesto vanno collocate le parole del capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, che ha parlato ‘guerra ibrida’ da parte dell’Occidente per fare apparire la Russia debole. Lo stesso Lavrov, intervenendo online al forum di Doha, ha affermato che zstanno finendo i 500 anni di dominio occidentale sul mondo". Il capo del Cremlino ha capito che, da quando è scoppiato il conflitto in Medio Oriente, le cancellerie internazionali sono molto meno concentrate sulla guerra in seno agli ex territori dell’Unione Sovietica.
Per questo sta tornando alla carica, in un conflitto che per lungo tempo lo ha visto in bilico, utilizzandolo anche come arma di propaganda anti occidentale per fare vedere che Mosca è forte che, dopo un momento di stanchezza è tornata a pieno titolo fra i big player a livello globale. -La città di Avdiivka, nel Donetsk, è stata bombardata per 24 ore senza sosta. Le intenzioni del nemico sono fin troppo chiare anche al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che si sente sempre più trascurato dagli alleati occidentali e che la settimana scorsa ha dovuto mandare giù il no del congresso americano a una nuova fornitura di armi all’Ucraina.
Il numero uno di Kiev ieri era a Buenos Aires per il giuramento del nuovo presidente argentino, Javier Milei. Si cercano nuovi alleati, mentre la Russia incalza per eventuali negoziati di pace. Che per Mosca equivarrebbero a vincere la guerra.