Ha vinto Trump. Ma ha vinto anche Biden. Non è una provocazione. È un’analisi. E si riferisce ai risultati dell’Iowa, il gelido Stato del Midwest americano da dove ogni quattro anni parte la maratona elettorale per le presidenziali americane.
CAUCUS INDIANI
L’altra notte si sono svolti i caucuses. Caucus è una parola indiana. Vuol dire riunione, nel caso specifico primarie. E a riunirsi nelle chiese, nelle scuole, nelle palestre eccetera, sono stati circa centomila elettori repubblicani. Quelli democratici no. Loro il candidato l’hanno già: è il presidente uscente Joe Biden, che, per quanto impopolare per una parte dell’America, vuole rimanere alla Casa Bianca. E così a contarsi sono stati i laboriosi, religiosi agricoltori delle grandi pianure, dove sino a meno di un secolo e mezzo fa cavalcavano i nativi americani delle tribù Sax e Fox. I quadri di Albert Bierstadt e il film di Kevin Costner Danza coi Lupi danno un’idea dell’antico Indian Territory. Poi arrivarono i pionieri, inglesi, tedeschi, scandinavi. Ebbene sui loro discendenti ogni quattro anni si appuntano gli occhi dell’America, perché dal loro voto dipende la scelta dell’uomo più potente del mondo. Chi vince in Iowa conquista il ’momentum’ e con esso la probabilità di essere lui poi, nella convention, a conquistare la nomination.
UN PLEBISCITO
L’altra notte quei centomila elettori non sono venuti meno alle attese. Hanno selezionato 40 delegati. Venti sono andati a Donald Trump, presidente dal 2017 al 2021. Gli altri venti al secondo concorrente Ron DeSantis, governatore della Florida, e al terzo Nikki Haley, ex governatore del South Carolina. Esito scontato? Certamente. Meno scontata la misura del plebiscito. Al punto che se fra una settimana, nelle primarie del New Hampshire, sarà ancora lui il vincitore, ci sono pochi dubbi che non lo sia anche negli altri 48 Stati e nel Distretto di Columbia (Washington). Pochi dubbi anche che la Corte Suprema non lo riammetta nelle liste elettorali del Colorado e del Maine dalle quali è escluso per "incitamento alla sovversione".
PARADOSSO JOE BIDEN
Tornando al paradosso di partenza, perché la vittoria di Biden costituirebbe anche una vittoria del suo avversario democratico, Joe Biden? Perché per l’attuale presidente l’erratico predecessore è l’unico contro il quale ha qualche chance di vittoria. Lo dicono i sondaggi. E per questo motivo i democratici – è l’accusa dei repubblicani – hanno scatenato contro Trump una campagna giudiziaria che dall’opinione pubblica rischia di essere percepita come una persecuzione e che, sommandosi al riflusso contro la woke culture, la cancel culture, l’invasione migratoria, l’inflazione eccetera, potrebbe consolidare il primato di Trump nel partito repubblicano.
EFFETTO BERLUSCONI
Nulla di nuovo sotto il sole. Ricordate l’effetto Berlusconi? Ad ogni perquisizione, avviso di garanzia o processo la sua popolarità aumentava e non diminuiva. Negli Stati Uniti a Trump è accaduto qualcosa del genere. Con il compiacimento di Biden, che si affretta a dire che Trump è il suo vero avversario. "È il momento di unirsi per risolvere i problemi dell’America" è l’appello di Trump. Mentre i giornali filodemocratici già azzardano il ticket repubblicano: Trump e Nikki Haley. Vedremo. Il destino dell’America e del mondo rimarrà nelle mani dei soliti due vegliardi?