Venerdì 3 Maggio 2024

Negoziati, la mossa della Turchia. Erdogan riceve il leader di Hamas: "Noi pronti a difendere i palestinesi"

I vertici dell’organizzazione terroristica via dal Qatar, il capo politico Haniyeh è volato dal Sultano. Nell’incontro discussi anche gli sforzi per un cessate il fuoco a Gaza. Ora Ankara vuole pesare sulle trattative.

Negoziati, la mossa della Turchia. Erdogan riceve il leader di Hamas: "Noi pronti a difendere i palestinesi"

Negoziati, la mossa della Turchia. Erdogan riceve il leader di Hamas: "Noi pronti a difendere i palestinesi"

Ottaviani

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non aspettava altro. Per la Turchia, questa nuova fase del conflitto in Medio Oriente, significa soprattutto la possibilità di entrare nella partita dei negoziati, dopo essere stata lasciata alla porta per mesi e senza troppo complimenti. L’occasione è data non solo dall’attacco iraniano e dalla risposta che è stata attribuita a Israele, ma soprattutto del probabile ritiro del Qatar. Ieri, Ismail Haniyeh, il capo del cosiddetto ramo politico di Hamas, ormai considerata a pieno titolo un’organizzazione terrorista, era a Istanbul per parlare con Erdogan. "Abbiamo visto che i Paesi occidentali possono reagire con una solo voce contro la ritorsione dell’Iran, gli stessi attori devono ora dire basta a Israele, con una sola voce" ha detto Erdogan in conferenza stampa, aggiungendo che i palestinesi "devono restare uniti" e che "la Turchia è pronta a difenderli". I due hanno discusso anche degli sforzi da compiere per arrivare al cessate il fuoco a Gaza.

Ankara, insomma, è in pressing diplomatico e si vede. Due giorni fa, Hakan Fidan, il ministro degli esteri turco e per oltre 10 anni a capo dei servizi segreti, è volato a Doha per incontrare proprio Haniyeh, in quello che sembrava quasi un passaggio di consegne. Ieri, ad Ankara ha visto l’omologo egiziano, Sameh Shoukry, per parlare della situazione sulla Striscia di Gaza. Questo è un particolare molto importante, perché Il Cairo è l’altro grande protagonista della mediazione.

Sembrerebbe tutto fatto, insomma. Ma ci sono almeno due motivi per i quali Ankara non può ancora dare la sostituzione per certa. Il primo è che in lizza c’è anche l’Oman. Il sultanato – al quale i vertici di Hamas avrebbero chiesto esilio in quanto intenzionati a lasciare il Qatar – sarebbe considerato un interlocutore più neutro e meno ondivago della Turchia, che, pur appartenendo alla Nato, da tempo persegue una sua politica estera in autonomia totale e non priva di zone d’ombra. Il secondo motivo sono proprio le dichiarazioni del presidente. Appena due giorni da, Erdogan aveva ribadito il sostegno ad Hamas, definito "un movimento di liberazione" e paragonato alla lotta per l’indipendenza che la Turchia ha portato avanti tra il 1915 e il 1920 contro Gran Bretagna e Grecia.

A queste, vanno aggiunte le parole poco lusinghiere nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, al quale aveva augurato "di essere distrutto da Dio", e 15 anni in cui le relazioni politiche, non quelle commerciali, con Gerusalemme hanno avuto più bassi che alti. Per la Turchia entrare nella partita diplomatica non è solo una questione di prestigio, ma anche di necessità. Già all’inizio della crisi, il presidente Erdogan e il suo ministro degli Esteri avevano elaborato un ‘piano turco’, che era stato sostanzialmente ignorato dalla comunità internazionale.

Rientrare nella partita nei negoziati, per Ankara significherebbe cercare di riguadagnare terreno agli occhi degli Stati Uniti, piuttosto freddi con la Turchia durante l’amministrazione Biden, e anche ricollocarsi nel Medioriente del futuro. Nonostante il presidente Erdogan ami poco lo stato di Israele, le sue uscite anti sioniste sul filo dell’antisemita lo dimostrano, Erdogan ha capito perfettamente che con Israele in qualche modo bisogna trattare e ha capito soprattutto che gli altri del mondo musulmano sunnita, in testa quello del Golfo, sono assolutamente disposti a farlo. Se la Turchia non rientra nei negoziati rischia di rimanere fuori dal Medioriente di domani. Di sicuro, è destinata a venire guardata con sospetto per i suoi rapporti con l’Iran dagli altri due grandi player regionali, Egitto e Arabia Saudita, entrambi infastiditi dal suo dinamismo diplomatico e che gradiscono poco i legami di Erdogan con Hamas e i Fratelli Musulmani egiziani, questi ultimi l’espressione più subdola e pericolosa dell’Islam politico. "Vergognati" sono state le parole utilizzate dal ministro degli Esteri israeliano Israel Katz nei confronti di Erdogan, per aver ricevuto Haniyeh.