Parigi, 20 gennaio 2023 - È solo la punta dell’iceberg? Che cosa si nasconde sotto le onde del mare in tempesta che ha sommerso ieri le strade di Parigi e delle principali città francesi? Il rigurgito del malessere sociale portato allo scoperto tre anni fa dai gilet gialli, l’odio di classe ereditato dalla rivoluzione del 1789 ("Non vogliamo più miliardari in Francia!", gridava Marine Tondelier, segretaria generale di Europe-Ecologie-Les Verts), le convulsioni di una sinistra socialista e comunista in crisi esistenziale, l’ansia di rivincita di un Mélenchon che ha vinto le elezioni cannibalizzando gli alleati e teme adesso di aver imboccato la strada del tramonto: c‘era sicuramente tutto questo nel cuore delle manifestazioni, e più in generale una rabbia populista che ricorda quella dei fanatici che diedero l’assalto al Capitol Hill di Washington e al Parlamento di Brasilia.
"Per ora siamo al primo round. Questo ovviamente significa che ce ne saranno altri", ha esultato Philippe Martinez, segretario del sindacato comunista Cgt. Erano 2 milioni secondo le sue stime (1 milione e 100 mila secondo il ministero degli Interni) i manifestanti che hanno risposto all’appello delle 8 più importanti centrali sindacali, scesi in piazza per dire "no" alla riforma di Macron che vuole portare l’età della pensione da 62 a 64 anni di qui al 2030, con un aumento graduale di 3 mesi per ogni anno.
Duecento cortei in tutta la Francia, 400 mila manifestanti nella capitale (80 mila secondo la polizia): molti di più quelli che nel 1995 si opposero al primo ministro Alain Juppé e lo costrinsero dopo tre settimane di scioperi ininterrotti a ritirare il progetto di legge – sempre sulle pensioni! – patrocinato dall’allora presidente Jacques Chirac.
Non ci sono stati gli incidenti che molti temevano: i poliziotti – 3500 a Parigi, 10 mila in tutta la Francia – sono riusciti a stroncare sul nascere alcuni tentativi di assalto a negozi e agenzie bancarie. Tutta la sinistra, dal Ps al Pc, dai Verdi alla France Insoumise, ha partecipato alla giornata di protesta.
Tutta l’estrema destra l’ha appoggiata pur non essendo fisicamente in piazza, come aveva chiesto Marine Le Pen che non ama certe "commistioni". Del resto, la leader del Rassemblement National se n’era andata tranquillamente in visita ufficiale in Senegal.
A sua volta Macron era volato a Barcellona per firmare accordi con la Spagna, accompagnato da 11 ministri: "Una provocazione, una sfida, un gesto di disprezzo", hanno commentato i rappresentanti sindacali.
Lo sciopero è riuscito aldilà delle aspettative: hanno incrociato le braccia un terzo dei dipendenti pubblici, i lavoratori dei trasporti e della sanità, gli insegnanti delle scuole medie e dei licei, i dipendenti di Edf (elettricità) e Gdf (gas). Fermi i treni, chiuse molte stazioni della metropolitana, annullati voli a Orly e Roissy: un "giovedì da galera" per gli utenti.
Per ora non si è proceduto al blocco delle raffinerie e dei depositi di carburante; né sono state messe in pratica le proposte assurde di alcuni sindacati che volevano "tagliare la corrente" nelle abitazioni di deputati e senatori favorevoli alla riforma.
I leader sindacali si sono riuniti ieri sera per decidere le date e le modalità delle nuove manifestazioni; si rischia di andare avanti sino a febbraio, quando avranno inizio le vacanze scolastiche invernali. Il 31 gennaio dovrebbe esserci un nuovo sciopero.
Impassibile, il presidente Macron ha annunciato da Barcellona che la "sua" riforma sarà portata avanti dal governo "con rispetto e spirito di dialogo, ma con grande determinazione. È una legge giusta e necessaria, già da tempo presentata democraticamente ai sindacati".
Il termine ultimo è la mezzanotte del 26 marzo; considerando che sinistra ed estrema destra si oppongono al progetto, il primo ministro Elisabeth Borne spera nell’approvazione in Parlamento grazie all’appoggio occasionale di una parte della destra moderata; in caso contrario la farà passare d’autorità con un decreto-legge.