Venerdì 14 Giugno 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

La cooperante italiana a Gaza: “800mila profughi da Rafah, è una catastrofe”

Flavia Pugliese: “Presto finiranno cibo e aiuti medici. Chi è ancora in città è perché non ha né soldi né mezzi per spostarsi. Operazioni umanitarie al collasso”

Flavia Pugliese, responsabile regionale Medio Oriente per WeWorld, lei è sul campo, continuando un impegno che la sua ong ha garantito in Palestina dal 1992. Quale è la situazione oggi nella Striscia? 

Flavia Pugliese (Ong WeWorld)
Flavia Pugliese (Ong WeWorld)

“La situazione umanitaria in tutta la Striscia di Gaza rimane ad oggi catastrofica, con un totale di 1,7 millioni di persone sfollate e più di 35,000 persone uccise. L’ONU stima che a seguito dell’operazione militare lanciata su Rafah il giorno 7 Maggio, circa 800,000 persone siano già state costrette a fuggire nuovamente dai propri rifugi provvisori a Rafah, spostando i pochi oggetti personali e le tende costruite in questi mesi anche con l’aiuto umanitario, verso le zone costiere di Mawassi, ad ovest delle città di Rafah e Khan Younis, e poco più a nord, verso l’area centrale della Striscia, la zona di Deir al Balah. Fuggono intere famiglie, sia quelle che si erano precedentemente spostate dalle zone più a nord già evacuate e distrutte, ma oggi anche quelle di Rafah, soprattutto della zona est, dove in questo momento le operazioni militari rendono impossibile la vita delle persone e quasi impossibile l’accesso agli aiuto umanitari attraverso il valico di Kerem Shalom, mentre il Valico di Rafah, che è stato il principale punto di sdoganamento degli aiuti umanitari negli ultimi mesi, è oggi attualmente chiuso”.

 Dove si rifugia chi scappa da Rafah?

“Chi si sposta, lo fa consapevole che dovrà identificare al più presto un piccolo spazio dove posizionare la propria tenda, soprattutto nei nuovi sovraffollati campi rifugiati lungo la zona costiera o tra le macerie di quello che rimane dei quartieri già sotto assedio nei mesi scorsi della città di Khan Younis, e nell’area di Deir al Balah. Queste aree sono state definite ‘zone umanitarie sicure’, ma la pretesa di definirle tali è smentita dai continui e incessanti attacchi missilistici che affliggono incessantemente queste zone cosi densamente popolate. I più fortunati stanno chiedendo ospitalità nello pochissime unità abitative ancora intatte, visto che 70,000 unità in tutta la Striscia sono già state distrutte dai continui attacchi. In alternativa, migliaia di persone stanno cercando rifugio presso quegli edifici che erano precedentemente scuole o centri educativi, e che oggi fungono da sovraffollati spazi abitativi con scarsissimi servizi di base e gravi rischi sanitari connessi al sovraffollamento.

Chi è rimasto a Rafah dove si nasconde quando bombardano, come vive?

“Letteralmente vive dove può. Se è di Rafah, nella sua casa, se è ancora in piedi. Se è un profugo alloggia in condizioni di fortuna, spesso in una tenda. Chi ancora non è fuggito è perché non ha un posto dove andare, o i mezzi finanziari per spostarsi. Ma sanno che con l’avanzare delle operazione militari verso l’area ovest di Rafah sarà una scelta obbligata per tentare di salvarsi in quanto cibo e acqua sono praticamente assenti, e i pochi centri medici ancora parzialmente operativi, inclusi quelli di campo istituiti dalle organizzazioni umanitarie, tra poche ore non saranno in grado di fornire il minimo supporto medico. Ricordiamo che la zona sud della striscia non è l’unica sotto assedio. Nella parte nord, tra Gaza city e il governatorato del nord, migliaia di persone cercano di sopravvivere, e i combattimenti continuano, costringendo la popolazione a spostarsi continuamente dai rifugi provvisori.

C'è un problema di accesso al cibo?

“A Gaza non si raggiunge nessuno standard minimo umanitario in merito all’accesso a cibo ed acqua. Il 22 maggio, il Programma Alimentare Mondiale ha avvertito che le operazioni umanitarie a Gaza sono vicine al collasso e che se gli alimenti e le forniture umanitarie non iniziano ad entrare a Gaza in quantità massicce, disperazione e carestia si diffonderanno. Al 24 maggio, solo 11 delle 16 panetterie supportate dalle organizzazioni umanitari sono ancora operative, tra cui una a Jabalya al Nord, sei a Deir Al Balah e quattro nella città di Gaza.

E per quanto riguarda l’acqua?

“Ce ne è poca e una parte di quella che c’è non è sicura. Secondo gli standard umanitari, per la sola sopravvivenza, la quantità minima da consumare è di tre litri di acqua al giorno. Ad oggi in molte aree della Striscia la popolazione accede a meno di 3 litri, e questa situazione sta costringendo le persone a fare affidamento su fonti d'acqua non sicure, come l'acqua di mare (peraltro con alti livelli di contaminazione) e i pozzi agricoli, e la mancanza di quantità e qualità adeguate di acqua sta contribuendo alla disidratazione, alla scarsa igiene personale all’intensificarsi di infezioni gastrointestinali. In questo contesto, le malattie trasmissibili, tra cui diarrea e sospetta epatite A, continuano ad aumentare, con i bambini sotto i cinque anni particolarmente colpiti. Proprio oggi 25 maggio, uno dei maggiori fornitori di acqua potabile (Abdul Salam Yaseen Company-Eta), con impianti di desalinizzazione sia nel nord che nel sud di Gaza ha drammaticamente annunciato che tutte le unità di desalinizzazione operanti, che producono approssimativamente 3.700.000 litri al giorno, sono destinate a cessare le operazioni entro 24 ore a causa della carenza e dei prezzi alle stelle del carburante”.

C'è ancora un barlume di assistenza sanitaria a Rafah? 

“Giusto l’ombra di quel che servirebbe. Anche i servizi sanitari sono al collasso. Ad oggi, solo 15 dei 36 ospedali nella Striscia di Gaza sono solo parzialmente funzionali. Il sovraffollamento all’interno delle strutture ospedaliere è allarmante, con ricezioni di pazienti per più di quattro volte della massima capacità. I servizi sanitari sono comunque a rischio per la scarsità di carburante. Nell’area di Rafah, l'ospedale Abu Yousef al-Najjar è stato evacuato dopo l’inizio dell’operazione mentre gli ospedali di Al-Helal Al-Emirati e l'ospedale Kuwait, sono a rischio di evacuazione e con seri problemi operativi connessi alla scarsità di carburante e materiale medico”.

Negli ultimi giorni il flusso di aiuti è aumentato o no? E chi li distribuisce? 

“L'ingresso di aiuti umanitari a Gaza continua ad essere estremante limitato ed la chiusura del valico di Rafah ha fatto registrare una diminuzione sostanziale dei fluissi di aiuti. Tra il 7 maggio e il 23 maggio, OCHA riporta che solo 906 camion di assistenza umanitaria sono entrati a Gaza, mentre più di 2000 camion di materiale umanitario, tra i quali cibo, medicine e prodotti igienici di base, sono bloccati al confine con l’Egitto. Le distribuzione avvengono tramite il supporto delle organizzazioni umanitarie (NGO internazionali e locali) e delle agenzie del ONU, che raggiungono la popolazione con distribuzioni direttamente nelle aree dei campi e dei centri dove sono sfollati.

Inoltre, secondo ONU, solo 1000 metri cubi di carburante sono entrati nella Striscia di Gaza dall'inizio dell'operazione militare a Rafah. Questo rappresenta una media del 29% delle già insufficienti allocazioni di carburante che sarebbero dovute entrare nella Striscia, secondo gli accordi in vigore prima del 6 maggio. La carenza di carburante sta influenzando ulteriormente il funzionamento di panetterie, ospedali, pozzi d'acqua e altre infrastrutture critiche per gli interventi umanitari”.