Tra le vittime dell’aggressione russa all’Ucraina c’è anche l’ambiente. Secondo il comitato per l’ambiente della Verkovna Rada – il parlamento ucraino – i danni già ammontano a 2 miliardi di grivne, oltre 50 miliardi di euro. "Contiamo ogni albero distrutto, ogni terreno contaminato.
E la federazione russa – afferma il viceministro dell’Ambiente, Ruslan Grchanyik – ci pagherà per quello che hanno fatto. Secondo stime preliminari il danno sinora ammonta a 2 miliardi di grivne per l’inquinamento del suolo, l’inquinamento atmosferico, le foreste bruciate e gli edifici distrutti".
La vastità dei danni è confermata da una fonte autorevole e indipendente come l’Unep, il programma ambiente delle Nazioni Unite che ad ottobre 2022 ha condotto una visita iniziale in Ucraina, su richiesta delle autorità ucraine. "La mappatura e lo screening iniziale dei rischi ambientali non fanno che confermare che la guerra è letteralmente tossica – ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Unep, Inger Andersen –. La prima priorità è che questa distruzione insensata finisca subito. Ma l’Ucraina avrà comunque bisogno di un enorme sostegno internazionale".
"Il conflitto – scrive l’Unep in un rapporto preliminare di fine febbraio – ha provocato danni in molte regioni del Paese, con incidenti nelle aree dove sorgono centrali e impianti nucleari, infrastrutture energetiche, comprese le petroliere, le raffinerie, gli impianti e i gasdotti di distribuzione, le miniere, i siti industriali e gli impianti di trasformazione agricola. Il risultato? Inquinamento atmosferico e una contaminazione potenzialmente grave delle acque sotterranee e di superficie".
Le emissioni climalteranti generate dalla guerra sono di 38 milioni di tonnellate. "Anche le infrastrutture idriche, comprese le stazioni di pompaggio, gli impianti di depurazione e le strutture fognarie, hanno subito danni significativi e sono stati danneggiati numerosi impianti industriali, alcuni dei quali immagazzinavano una serie di sostanze pericolose, dai solventi all’ammoniaca e alla plastica".
Sostanze pericolose sono state rilasciate anche da esplosioni in strutture di stoccaggio agroindustriali, tra cui impianti di fertilizzanti e di acido nitrico. "In molte aree urbane – si osserva poi – la bonifica delle abitazioni distrutte comporterà delle sfide, poiché è probabile che i detriti siano mescolati a materiali pericolosi, in particolare amianto. Le immagini satellitari hanno anche mostrato un aumento significativo degli incendi in varie riserve naturali e aree protette, oltre che in aree boschive". E inquinamento dovuto alle attività belliche, "anche nelle aree popolate, e i grandi volumi di rifiuti militari, compresi i veicoli militari distrutti", creano una grande sfida per la bonifica: i rifiuti bellici ammontano ad almeno 144 mila tonnellate.
E ci sono sfide potenzialmente gravissime e poco note come quella posta dalla miniera di carbone di YunKom, situata nel Donbass, nella quale i sovietici, il 16 settembre del 1979 fecero esplodere un ordigno nucleare da 0,3 KW per (folli) fini di coltivazione mineraria. Dal 14 aprile 2018 – la regione è sotto controllo dei separatisti filorussi – le acque non vengono più pompate come si faceva per evitare che raggiungessero l’area contaminata dall’esplosione nucleare sotteranea. E quindi da 4 anni possono circolarvi diventando radioattive. Nel 2020 è già stata segnalata radioattività in un acquifero a 5 chilometri dalla miniera: se le acque contaminate dovessero raggiungere qualche acquifero importante, usato per fini potabili, sarebbe un rischio enorme per la popolazione del Donbass. L’ennesimo.