
Benjamin Netanyahu
Roma, 30 maggio 2025 – Con la pubblicazione di una nuova proposta elaborata dal mediatore Steve Witkoff gli Stati Uniti hanno la sensazione che una tregua di 60 giorni dei combattimenti a Gaza sia adesso a portata di mano. Ieri Benjamin Netanyahu ha detto a un gruppo di familiari di ostaggi di aver accettato di procedere lungo quella via. Secondo l’emittente televisiva al-Arabiya gli Stati Uniti hanno ricevuto segnali positivi sia da Israele sia da Hamas e preparano un annuncio ufficiale.
Ma da Gaza Hamas fa sapere che non accetta la proposta. Anche se non è chiaro chi all’interno di Hamas abbia adesso l’autorità per esprimersi in maniera vincolante: se si tratti cioè di Saed e-Din Haddad (il dirigente della sua ala militare che sostituisce adesso a Gaza Mohammed Sinwar, morto in un bombardamento) oppure il dirigente Khalil al-Haya, che opera all’estero con altri dirigenti del movimento.
A Washington si è egualmente diffuso un senso di cauto ottimismo e Witkoff ha deciso di inviare nei prossimi giorni a Gerusalemme due emissari per puntellare le intese di tregua fra Israele e Libano e per aggiornare il governo Netanyahu degli ultimi sviluppi politici a Damasco, dopo che ieri gli Usa vi hanno aperto una rappresentanza. La nuova proposta di Witkoff prevede, secondo i media, la liberazione in due scaglioni di dieci ostaggi vivi e di 18 corpi di israeliani in cambio di 125 palestinesi condannati all’ergastolo in Israele e di 1100 di gazawi catturati durante le operazioni militari nella Striscia. Prevede anche un ritiro dell’esercito da zone occupate a Gaza nelle ultime settimane (in particolare da Khan Yunis) e l’ingresso di cospicue quantità di aiuti umanitari per la popolazione civile. Tuttavia, a quanto pare, non precisa chi avrebbe la responsabilità della loro distribuzione: le organizzazioni internazionali, come in passato, oppure la società Usa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) che opera sotto la protezione dell’esercito israeliano e che negli ultimi giorni ha attivato tre centri di distribuzione, tuttora in fase di rodaggio.
Durante i primi 60 giorni di tregua le due parti dovrebbero inoltre negoziare una ‘tregua permanente’, quella che per Hamas significa in pratica la fine del conflitto. Ma adesso Hamas insiste per ricevere garanzie concrete da Trump dopo che a febbraio, in condizioni simili, Israele si rifiutò di entrare in trattative per la conclusione del conflitto. A rendere ancora più complesso il quadro generale è giunto ieri un intervento polemico di un membro del Comitato esecutivo dell’Olp, Ahmed Majdalawi, che ha accusato Hamas di non aggiornare Abu Mazen sull’andamento dei contatti internazionali su Gaza. ‘’Si tratta di una questione nazionale dei palestinesi e non di un affare separato di Hamas’’, ha osservato.
Ieri Israele ha autorizzato l’ingresso nella Striscia di 200 camion di aiuti che sono andati ad aggiungersi a pacchi di generi alimentari ‘’sufficienti a sfamare una famiglia per una settimana’’ distribuiti dalla Ghf a circa 15 mila persone. Ieri l’appello dello zio del piccolo Adam, il bimbo unico superstite di dieci figli di una pediatra, uccisi dai raid israeliani, è stato raccolto dall’Italia. Il piccolo – chiarisce la Farnesina – potrà venire in Italia per farsi curare. Nel frattempo la situazione umanitaria resta catastrofica: secondo le agenzie internazionali di assistenza dal 18 marzo 623 mila palestinesi hanno ricevuto dall’esercito l’ordine di sfollare dalle loro case. "Non ci sono più tende da distribuire, né zone ritenute sicure" ha affermato Medici senza frontiere.
Israele ha intanto annunciato di aver approvato 22 nuovi punti di insediamento ebraico in Cisgiordania. "Una decisione storica che rappresenta la nostra risposta forte al terrorismo ed una iniziativa strategica concepita per impedire la costituzione di uno Stato palestinese" ha spiegato il ministro della difesa Israel Katz. "Il nostro prossimo passo - ha anticipato il ministro Bezalel Smotrich – sarà la estensione della nostra sovranità".