Il muro contro muro sul destino di Gaza prosegue secondo inesorabili linee di forza, con dinamiche ostili e parallele sul campo di battaglia e sul piano diplomatico. Resistono, ma fortemente depotenziati, i colloqui di Doha (in Qatar). Hamas chiede "un cessate il fuoco completo, il ritiro totale dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati e un vero scambio di prigionieri". Israele si alza dal tavolo. Il ’no’ si dispiega su tutta la linea. Il premier Benjamin Netanyahu non accoglie il cessate il fuoco per il mese del Ramadan votato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu (con la decisiva astensione degli Stati Uniti), e neppure gli inviti dell’amministrazione Biden a "non condurre un’operazione su larga scala di terra a Rafah". Il comando israeliano rivendica anzi i raid aerei su "60 obiettivi terroristici" nella Striscia. I media palestinesi denunciano 50 morti tra Rafah e Gaza City, nella zona dell’ospedale di al-Shifa, mentre la Mezzaluna rossa comunica la chiusura dell’ospedale al-Amal di Khan Yunis evacuato dagli israeliani per presenza di terroristi. I palestinesi chiedono lo stop agli aiuti via paracadute: 18 morti finora tra colpiti dai lanci o annegati in mare per recuperare i pacchi. Ma nella Striscia si fa la fame e si muore: 32.233 i decessi secondo l’Onu.
Israele tira dritto: "Guerra giusta". Dopo il massacro del 7 ottobre, gli obiettivi restano "distruggere le capacità militari e governative di Hamas, rilasciare tutti gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti una minaccia per il popolo di Israele in futuro". L’Idf conferma la morte di Marwan Issa, il numero due delle Brigate Qassam, ala militare di Hamas, centrato lo scorso 11 marzo in un bunker. "Alla fine non c’è scelta, dobbiamo avere Sinwar vivo o morto se vogliamo riportare gli ostaggi a casa", dichiara il presidente israeliano Isaac Herzog auspicando la cattura di Yahya Sinwar, il capo di Gaza. Nelle stesse ore Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, atterra a Teheran. Qui incontra il presidente della Repubblica Ali Khamenei che solidarizza secondo copione: "La Repubblica islamica dell’Iran non esiterà a sostenere la causa della Palestina e di Gaza". Anche Haniyeh attacca: "Israele ha fallito nel raggiungere tutti gli obiettivi strategici e sta perdendo il sostegno politico e internazionale. Un isolamento senza precedenti".
Israele mantiene ai colloqui di pace di Doha solamente i propri tecnici: l’ufficio del premier Netanyahu comunica che "Israele non si arrenderà alle richieste strampalate di Hamas" (accusata di alzare la posta per il rilascio degli ostaggi). Secondo Israele, si tratterebbe di "una prova dolorosa dei danni causati dalla decisione del Consiglio di sicurezza". Gli Stati Uniti non mollano la presa. Da un lato, sostengono che il cessate il fuoco non sia "vincolante" (suscitando la rabbia della Russia), dall’altro proseguono il pressing. Il segretario di Stato Antony Blinken ribadisce il no di Washington a un’operazione di terra su Rafah perché "esistono alternative che garantirebbero meglio la sicurezza di Israele e proteggerebbero i civili palestinesi". E anche il capo del Pentagono Lloyd Austin ricorda la cruda realtà al ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant: "A Gaza oggi il numero delle vittime civili è troppo alto e la quantità di aiuti umanitari è troppo bassa". Gallant prova a ricucire: "I negoziati e le posizioni di Hamas ci impongono di unire i nostri sforzi militari e diplomatici". Poi aggiunge: "Solo una vittoria decisiva porterà alla fine della guerra".