Roma, 26 settembre 2024 – Quarantasei anni nel braccio della morte, ma alla fine – a 88 anni – è stato dichiarato innocente: è l’incredibile storia di Iwao Hakamada, pugile giapponese condannato negli anni ‘70 e oggi assolto. Hakamada è considerato l’uomo che ha atteso più a lungo al mondo la propria esecuzione.
Il pugile stava scontando una pena inflitta per un delitto avvenuto 58 anni fa nell’area di Shizouka: una famiglia di quattro persone – genitori e due figli minorenni – fu sterminata in modo brutale. Il padre era il datore di lavoro di Hakamada, che fu arrestato e riconosciuto colpevole dai tribunali, nonostante l’uomo si proclamasse innocente.
Nella sentenza odierna del tribunale di Shizouka, che assolve l’imputato, i giudici lanciano un’accusa agli inquienti e all’accusa: le autorità investigative avrebbero manipolato le prove per ottenere una condanna. La corte ha quindi concluso che "non si può concludere che Hakamada sia il colpevole" del quadruplice omicidio.
L’uomo era stata condannato sulla base di due prove in particolare: alcuni indumenti macchiati di sangue, trovati all’interno di un serbatorio di miso – una polpa di soia fermentata usata per preparazioni tradizionali –, e una confessione, ottenuta subito dopo la scoperta dei corpi.
La revisione del caso, che ha previsto 15 udienze, ha smontato entrambe le prove dell’accusa: "Non è plausibile che macchie di sangue rosso rimangano dopo essere state immerse nel miso per oltre un anno. È stato accertato che, molto tempo dopo l'incidente, le macchie di sangue furono aggiunte dalle autorità investigative, e gli indumenti furono nascosti nel serbatoio" ha commentato il giudice capo Tsunetaka Kunii del Tribunale distrettuale di Shizuoka. Inoltre, la confessione dell’imputato è risultata fabbricata dalle autorità investigative.
Hakamada ha sempre continuato a proclamarsi innocente, anche dopo la conferma della condanna a morte nel 1980. Nel 2014 il pugile aveva ottenuto che si tenesse un nuovo processo, anche a seguito di alcune analisi del Dna che avrebbero potuto scagionarlo. Ed è quindi iniziata la lunga battaglia legale, con il vecchio condannato che intanto era uscito dal carcere per un'amnistia.
Nel 2018 l'Alta Corte di Tokyo ha messo in dubbio l’affidabilità dei test del Dna e ha annullato la decisione del 2014, senza rimandare l'accusato in prigione. Nel 2020 un nuovo colpo di scena: la Corte Suprema annulla la decisione che impedisce lo svolgersi di un nuovo processo. “Abbiamo combattuto una battaglia che sembrava infinita per così tanto tempo", ha detto la sorella di Hakamada, Hideko.
L'assoluzione odierna è un vero caso. È la prima volta in 35 anni che un processo di revisione rovescia una condanna a morte e si tratta solo del quinto caso dal dopoguerra. Il sistema giudiziario nipponico, d'altronde, è noto per essere abbastanza orientato in favore dell'accusa.