Condannati dalla nostra Grande Bellezza, schiavi di un passato talmente glorioso che fatichiamo a lasciarlo per camminare verso il futuro. La vicenda degli stadi italiani, prigionieri della loro stessa storia, è altamente simbolica, perché senza voler esagerare, ci si specchiano i vizi e le virtù di tutto il Belpaese. E infatti non è un caso che gli imprenditori che si stanno scontrando con i freni della nostra burocrazia siano tutti stranieri: Milan, Inter, Fiorentina e Bologna, ma anche la Roma, sono nelle mani di proprietà arrivate da Stati Uniti, Cina e Canada, attratti dalla meravigliosa vetrina che l’Italia offre e ora prigionieri delle reti di sovrintendenze e politica. A raccontarla quasi non ci si crede: con declinazioni diverse, i vari Zhang, Cardinale, Saputo, Commisso o Friedkin sono pronti a investire in modo pesante, ma non riescono a farlo perché il calcio italiano è bene privato quando c’è da spendere, ma fin troppo pubblico quando c’è da pretendere e da vincolare.
Certo, non è giusto rinnegare storie gloriose come quelle di San Siro, del Dall’Ara, del Franchi, dell’Olimpico: su quei gradoni si sono scritte pagine di sport che si fa storia d’Italia, e città intere hanno vissuto emozioni indimenticabili. Non sono centri commerciali, per moltissime persone sono il tempio del cuore e delle emozioni, a volte più di una casa e di una famiglia.
Però adesso si esagera. Il passato va rispettato, ma a forza di guardarsi indietro si rischia di non poter entrare nel futuro. E di rimanere a vivere solo di ricordi, mentre il resto del mondo va avanti.