Lunedì 29 Aprile 2024

"Sulle auto elettriche è in gioco la credibilità dell’Europa"

"Sulle auto   elettriche  è in gioco  la credibilità  dell’Europa"

"Sulle auto elettriche è in gioco la credibilità dell’Europa"

LA TRANSIZIONE green è inevitabile, ma se non verrà gestita bene l’Europa rischia di perdere la leadership nel settore dell’auto, che coinvolge quasi 13 milioni di lavoratori. La scadenza fissata dall’Ue per immatricolare solo auto elettriche dal 2035 potrebbe infatti aprire le porte all’invasione dei marchi cinesi, che hanno la leadership nella produzione di batterie e microchip. "Uno scenario che ritengo non si avvererà – chiarisce Mattia Adani (nella foto a sinistra, in alto), presidente dell’Unione Europea Industria Lubrificanti – L’industria metalmeccanica europea, inclusa quella italiana, è dotata di tutte le competenze umane, di know-how e tecniche per compiere la transizione all’auto elettrica. Sarà una sfida certamente complessa, ma l’industria europea può vincerla. E non ho alcun dubbio che la vincerà, se questo è ciò che le autorità dell’Ue le chiederanno. Il mio timore, piuttosto, è un altro".

Quale?

"Ad oggi, le auto elettriche sono molto più costose delle auto tradizionali. È possibile che, per via delle economie di scala che si genereranno, il loro costo scenderà. Ma è solo una speranza il fatto che, senza sussidi, tale costo diventi uguale a quello delle auto di oggi. Né, d’altra parte, si può prevedere un sistema di sussidi permanenti per tutta la popolazione, perché insostenibile nel lungo periodo. Inoltre, la realizzazione dell’infrastruttura necessaria a rifornire di energia le auto presenta temi strutturali ancora largamente irrisolti".

Per esempio?

"Si pensi che se si vorrà permettere ai condomini di un palazzo di caricare in contemporanea le proprie auto al rientro dal lavoro, li si dovrà dotare di un’infrastruttura elettrica simile a quella di un piccolo stabilimento industriale. Oppure ai tanti cittadini europei che non hanno un garage dove poter ricaricare ogni sera la propria auto, o al numero necessario di punti di ricarica da installare nelle località turistiche sia di mare che di montagna, considerato che sono molto affollate in alcuni periodi dell’anno e quasi vuote nei restanti. Anche ammesso che si riesca a realizzare tutto ciò in un tempo, dodici anni, in cui in Italia a volte non si riesce neppure a chiudere una causa civile condominiale, i costi di tali investimenti sarebbero imponenti. E dovranno in un modo o nell’altro essere scaricati alla fine sugli automobilisti, che difficilmente potranno sostenerli, in particolar modo le fasce meno abbienti".

E quale sarebbe il rischio se ciò effettivamente avvenisse?

"Quello di ritornare a uno scenario pre-fordista nel quale il diritto alla mobilità, che oggi è concretamente accessibile per la stragrande maggioranza dei cittadini, sarebbe un affare riservato solo ai più abbienti. Da europeista convinto, spero che nel corso dei prossimi dodici anni si riusciranno a creare le condizioni per garantire a tutti gli europei, anche a quelli meno fortunati, l’accesso a una mobilità sostenibile, non solo ambientalmente, ma anche socialmente. Perché quella che è in gioco qui non è solo la decarbonizzazione, ma la credibilità delle istituzioni europee".

Quali sono le principali perplessità dell’industria europea circa la decisione dell’Ue?

"Anzitutto il rischio di creare una nuova dipendenza per l’Europa, quella dal litio, di cui siamo sprovvisti. O ancora, che l’effettivo risparmio in termini di gas a effetto serra emessi dai veicoli elettrici, quando questo è calcolato sull’intero ciclo di vita del veicolo – se questo è alimentato da elettricità comunque prodotta da fonti fossili – sia tutto sommato limitato rispetto all’ammontare degli investimenti richiesti e agli altri rischi industriali e geopolitici in cui si può incorrere. C’è poi chi paventa una destabilizzazione dell’industria automobilistica basata sui motori a combustione interna, che oggi è uno dei settori trainanti del sistema produttivo europeo, con relativa perdita di centralità strategica e di numerosi posti di lavoro".

A questo proposito, i costi sociali così gravosi e le difficoltà di carattere tecnico portano alcuni osservati a ritenere che, alla fine, tale scenario non si verificherà. E che quindi la maggior parte dei motori prodotti in Europa nel 2035 saranno ibridi a combustione interna.

"Personalmente, mi auguro si sbaglino. Sarebbe ragionevole, invece, arrivare al traguardo del 2035 con gradualità, superando step successivi in grado di segnalare passo passo l’effettivo livello di adeguamento del sistema industriale europeo all’appuntamento con lo stop ai motori endotermici. La stessa normativa europea prevede una serie di verifiche intermedie, tra cui una nel 2026, in cui sarà possibile rimodulare obblighi e impegni. Non avrebbe senso procedere per strappi e fughe in avanti rischiando di creare confusione e disorientamento".

Qual è il ruolo dell’industria europea dei lubrificanti nella transizione green delle auto?

"La nostra industria è particolarmente interessata a quanto accade nel mondo dell’automobile. Metà dei lubrificanti venduti in Europa sono infatti oli motore. I lubrificanti sono elementi fondamentali nell’efficienza, anche energetica, dei sistemi meccanici: un piccolo aumento nell’efficacia del lubrificante impiegato può, infatti, portare a riduzioni significative degli attriti e quindi a notevoli risparmi energetici. Una lubrificazione e manutenzione attenta dei sistemi meccanici ne allunga la vita, riducendo i consumi di energia e l’utilizzo di risorse per produrne di nuovi".

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