Roma, 16 gennaio 2024 – La metà della spesa pubblica è destinata a pensioni, sanità e assistenza. E in dieci anni o poco più è lievitata del 126 per cento circa. Sono i due dati centrali del Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentato oggi nella Sala Stampa della Camera dei Deputati. Ma vediamo, nello specifico, i singoli capitoli. Nel 2022 l’Italia ha complessivamente destinato a pensioni, sanità e assistenza 559,513 miliardi di euro, con un incremento del 6,2% rispetto all’anno precedente (32,656 miliardi): la spesa per prestazione sociali ha assorbito oltre la metà di quella pubblica totale, il 51,65%.
Rispetto al 2012, e dunque nell’arco di un decennio, la spesa per welfare è aumentata di ben 127,5 miliardi strutturali (+29,4%); aumento ascrivibile soprattutto agli oneri assistenziali a carico della fiscalità generale, cresciuti del 126,3% a fronte dei “soli” 37 miliardi della spesa previdenziale (+17%) e del 18% del nostro prodotto interno lordo. Da qui, dunque, l’attenzione sulla necessità di separare previdenza e assistenza, contenendo maggiormente quest’ultima.
L’andamento della previdenza obbligatoria
Dopo il crollo dovuto a COVID-19 e misure di lockdown, crescono nuovamente e anche per il 2022 le entrate contributive, che salgono dell’8% rispetto al 2021 toccando quota 224,94 miliardi di euro, valore ampiamente superiore a quello pre-pandemico. Diminuisce di riflesso anche il saldo (negativo) tra entrate e uscite, pari a circa 22,64 miliardi: sul deficit del sistema pensionistico, che scende di quasi 7 miliardi rispetto ai 30 dello scorso anno, continua a pesare soprattutto il disavanzo della gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia da sola un passivo di oltre 39 miliardi (erano 33 prima della pandemia). Quattro, invece, le gestioni obbligatorie INPS con saldi positivi: i lavoratori dipendenti che - al netto delle gestioni speciali poi confluite nel FPLD - presentano un attivo di 17.715 milioni di euro contro gli 11,5 miliardi del 2021; i commercianti, che raddoppiano il loro saldo positivo (da 654 a 1.317 milioni di euro); i lavoratori dello spettacolo ex ENPALS, con 373 milioni (288 nel 2021), e la Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati. Con un saldo che passa da 7.700 a 8.477 milioni, quest’ultima resta indubbiamente favorita dall’istituzione piuttosto recente, avvenuta nel 1996, e dunque dal numero ancora ridotto di pensionati, spesso peraltro percettori di assegni dall’importo contenuto. Buono anche il saldo previdenziale delle Casse privatizzate dei liberi professionisti, che sale a 4,259 miliardi di euro (+15,35% sul 2021): nel dettaglio, si tratta di 3,674 miliardi di euro per gli enti istituiti nel 1994 (+14,67%) e di 586 milioni per quelli creati nel 1996.
Nel complesso, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) è stata nel 2022 pari a 247,588 miliardi, per un’incidenza sul PIL del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42% dello scorso anno. Al netto degli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e GIAS dei dipendenti pubblici (23,793 miliardi in totale), l’incidenza scende al 11,72%, dato più che in linea con la media Eurostat; la percentuale cala addirittura all’8,64% escludendo, oltre alle integrazioni al minimo e alla GIAS dei dipendenti pubblici, anche i circa 59 miliardi di imposte (IRPEF) che in molti Paesi dell’Unione o di area OCSE sono molto più basse, quando non del tutto assenti, sulle pensioni.
"Un esercizio di calcolo - ha commentato il Professor Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali - tutt’altro che sterile se si considera che la corretta determinazione di questi dati è fondamentale per evitare che eccessive sovrastime convincano l’Europa a imporre tagli alle pensioni che, come evidenziano questi numeri, presentano invece una spesa tutto sommato sotto controllo”. Come sottolinea il Rapporto, stupiscono allora ancora di più i dati comunicati dalle nostre istituzioni in sede europea, con le prime stime Eurostat sul 2022 relative a pensioni di vecchiaia, anticipate e superstiti che ammontano per l’Italia al 16,7%, contro il 12,6% della media UE.
Le principali voci della spesa assistenziale italiana
Al 2022 risultano in pagamento 4.146.120 trattamenti di natura interamente assistenziale (invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali, pensioni di guerra) per un costo totale annuo di 21,486 miliardi, malgrado il calo – fisiologico e costante – delle pensioni di guerra. Tenuto conto del fatto che uno stesso soggetto può essere destinatario di più prestazioni, sono di fatto 3.746.753 i beneficiari di trattamenti totalmente assistiti. Sono invece complessivamente 6.751.556 le prestazioni parzialmente assistite erogate al 2022, di cui 3.887.168 trattamenti tra integrazioni al trattamento minimo, maggiorazioni sociali e importi aggiuntivi: a beneficiarne, al netto di duplicazioni e non considerando la quattordicesima mensilità, un totale di 2.804.780 soggetti parzialmente assistiti. I pensionati totalmente o parzialmente assistiti sono dunque 6.551.533, vale a dire il 40,61% del totale. Stima che oltretutto appare agli estensori del Rapporto, sicuramente in difetto, se si tiene conto di ulteriori prestazioni come la pensione di cittadinanza o, ancora, di quelle categorie di pensionati che, per età e anzianità contributiva, possono beneficiare anche separatamente di un’ulteriore prestazione assistenziale.
Separare previdenza e assistenza
In linea con le precedenti pubblicazioni, anche la nuova edizione del Rapporto suggerisce allora innanzitutto una corretta separazione tra previdenza e assistenza, e quindi una razionalizzazione della spesa assistenziale, che ormai da troppo tempo appesantisce le casse dello Stato, generando debito e sottraendo risorse a investimenti e sviluppo.
I “cattivi” investimenti del welfare italiano
Complessivamente, il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale è ammontato nel 2022 a 157 miliardi, con un aumento di 12 miliardi rispetto ai 144,2 del 2021. Dal 2008, quando la spesa per assistenza ammontava a 73 miliardi, gli oneri a carico dello Stato sono più che raddoppiati, con un tasso di crescita annuo del 7,67%, addirittura di 3 volte superiore a quello della spesa per pensioni che sono però sorrette da contribuzione di scopo.
"Il tutto mentre il debito pubblico si avvicina pericolosamente ai 3mila miliardi e, secondo i dati Istat – precisa Brambilla – il numero di persone in povertà continua a salire (quelle in povertà assoluta erano 2,113 milioni nel 2008 e 5,6 nel 2021): verrebbe da dire che non solo spendiamo molto ma che spendiamo anche male. Ed è forse questa spesa eccessiva, abbinata agli scarsi controlli, a incentivare sommerso e lavoro nero, generando il tasso di occupazione peggiore in Europa”.
Come ricorda il Rapporto, su 38 milioni di persone in età da lavoro l’Italia tocca il proprio record con poco più di 23,5 milioni di occupati. Sono soprattutto due i rapporti che danno l’idea dell’incidenza del welfare sulla vita economica del Paese: quello sul PIL, che vale il 29,31% con l’esclusione della “casa”, e quello sulla spesa pubblica totale, pari al 51,65%. In buona sostanza, al welfare italiano è destinato poco meno di un terzo di quanto si produce e più della metà di quanto si spende in totale. Nel complesso, se per INPS e Inail si può infatti parlare di “equilibrio”, vale a dire di un sistema pensionistico e assicurativo in grado di autosostenersi con i contributi versati da lavoratori e imprese, lo stesso non può dirsi per assistenza, sanità (intorno ai 131 miliardi l’importo della spesa) e welfare degli enti locali (circa 11 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono appunto essere finanziati attingendo alla fiscalità generale.