Domenica 1 Settembre 2024

"L’Italia strategica nel dialogo con l’Africa e l’Oriente"

Il presidente di Federagenti invita il governo italiano a trasformare le emergenze in opportunità durante la conferenza Italia-Africa a Roma, affrontando le sfide del traffico marittimo e della sicurezza nel Mediterraneo. È necessario investire in tecnologia e sostenibilità per mantenere la competitività dei porti italiani e riallacciare il dialogo con Africa e Medio Oriente.

"L’Italia strategica nel dialogo con l’Africa e l’Oriente"

"L’Italia strategica nel dialogo con l’Africa e l’Oriente"

"UTILIZZIAMO LA FORZA riconosciuta al nostro Paese e al nostro capo del governo in carica durante la presidenza italiana del G7 per replicare quello che sarà l’oggetto dell’imminente conferenza Italia-Africa che si terrà a Roma: diventiamo protagonisti quindi di un Piano Mattei non solo per l’energia ma per l’economia in cui il mare, e quindi un Mediterraneo non più considerato un lago, rappresenti il valore aggiunto in più per l’Italia e l’Europa". Alessandro Santi (nella foto a destra), presidente di Federagenti (la federazione che riunisce gli Agenti Marittimi che rappresentano in Italia tutti gli armatori internazionali con 500 aziende associate e circa 5mila addetti), invita esplicitamente il governo italiano a trasformare in opportunità quelle che oggi appaiono solo come emergenze testimoniate da numeri: l’indice JCC’s Global Cargo Watchlist, che regola la definizione dei rischi nelle aree di conflitto nel mondo per il sistema assicurativo, da dicembre 2019 a dicembre 2023 certifica che le aree del mondo a maggior rischio (extreme, severe, very high) sono passate da 14 a 24, con due aree ora definite a rischio extreme quando non ne esistevano nel 2019. E il valore dei premi delle assicurazioni rischio guerra è più che decuplicato per le aree calde. Il traffico marittimo nell’area del Mar Rosso (con conseguenze sempre più pesanti sul Canale di Suez) ha subito un calo del 38%; anche la pressione dei flussi migratori (quest’anno ai massimi) non è certamente una variabile indipendente dalle tensioni geo-politiche.

Presidente, la crisi di Suez sta rivoluzionando la dinamica delle merci. Cosa sta succedendo?

"Succede che le navi circumnavigano l’Africa e bypassano il mediterraneo. Così i porti sul mare Adriatico e quelli sul Tirreno vanno in crisi, soprattutto per il venir meno dei container che approdano in Spagna e sulle coste francesi dell’Atlantico. Trieste, Ravenna, Ancona, Taranto e tutti i porti italiani, anche Genova, ne risentono pesantemente".

Con il rischio che le filiere logistiche si abituino a questa lunga circumnavigazione...

"Esattamente. Passare dal capo di Buona speranza non ha un senso economico, ma se si rischia il carico è certamente meglio che perderlo o mettere la nave a rischio Outhi. C’è il rischio che le nuove rotte acquistino stabilità così come se il pericolo terroristico venisse meno in breve la situazione si ristabilirebbe. Anche perché le navi impiegano dal 14 ai 16 giorni in più con maggiori consumi e una abbondante produzione di CO2. Ma oggi il rischio è talmente alto che ci si protegge. E le filiere logistiche hanno preso questa nuova direzione che premia in maniera enorme gli scali della Spagna. Poi bisognerà tornare alla ‘vecchia’ normalità ma non sarà così facile".

E gli armatori come reagiscono?

"In questo quadro gli armatori si trovano a operare su un filo teso sul vuoto nel tentativo di coniugare gli sforzi per la sicurezza di navi ed equipaggi con le scadenze e gli obblighi di una politica di transizione energetica e di decarbonizzazione che ogni giorno di più emerge come inattuabile nei tempi e nei modi fissati dall’Unione europea".

Occorre investire molto?

"Sì, gli strumenti utilizzati sono ingenti investimenti in tecnologia, capacità di stiva, sicurezza e l’identificazione dei cosiddetti futuri green corridor (44 in fase di realizzazione) dove gli armatori (maggiori) e i porti (maggiori) stanno cercando di creare un habitat di sostenibilità e dove il Mediterraneo non è preso in considerazione, se non per il passaggio Suez-Gibilterra nelle relazioni bidirezionali Singapore-Rotterdam e Singapore-Us East Coast".

L’Italia cosa può fare?

"È proprio in questo quadro di riferimento che l’Italia può e deve – pena la sua emarginazione, e non solo marittima – emergere come playmaker in grado di riallacciare le fila del dialogo con Africa e Medio Oriente, di ampliare alla politica marittima gli obiettivi energetici del Piano Mattei, e di disinnescare un rischio mortale, derivante in primis dall’opzione circumnavigazione dell’Africa: siamo una nazione che dipende per import ed export e quindi per la sua manifattura (secondi in Europa) dal mare, perché siamo la seconda nazione europea per scambi marittimi, perché il controllo del mare significa anche stabilità sul mare e dei Paesi che vi si affacciano".

Un problema che non riguarda sole le merci.

"Infatti, non dobbiamo dimenticare che l’altro pilastro economico nazionale è il turismo che per una parte importante è sul mare (spiagge, yacht, crociere, traghetti, città porto); e la storia anche recente ci insegna che laddove non vi è stabilità geo-politica non vi è turismo. E proprio questo legame con il Mediterraneo ci fa emergere come controparte privilegiata in Europa per tutti quei Paesi che hanno un futuro legato al Mediterraneo e ai traffici attraverso Suez".

Concretamente cosa di deve fare?

"È il tempo di progettare e attuare un futuro marittimo per il nostro Paese e per tutti quelli che diventeranno i nostri partner, garantendo da subito efficienza ai versanti logistici nazionali di Tirreno e Adriatico, quali efficienti alternative ai corridoi intestati a Nord".

E il personale si trova?

"No,e questo è un grave problema. Noi gestiamo qualcosa come 70mila scali e il valore di ogni scalo può andare dai 2mila ai 300mila euro. Ci serve personale qualificato, agenti, spedizionieri. Tanti giovani non si avvicinano anche se noi mettiamo in campo percorsi formativi e incentivi interessanti".